Amministratore di società: l’autoliquidazione dei compensi configura la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione (di Riccardo Radi)

La Cassazione sezione 5 con la sentenza numero 39472/2023 ha ricordato che integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta dell’amministratore di una società che si appropri di somme della società a titolo di pagamento per le prestazioni lavorative svolte in favore di quest’ultima, non essendo scindibile la sua qualità di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall’obbligo di fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi (cfr., ex plurimis, Sez. F, n. 27132 del 13/08/2020, Rv. 279633; Sez. 5, n. 25773 del 20/02/2019, Rv. 277577; Sez. 5, n. 2273 del 06/12/2004, Rv. 231289; Sez. 5, n. 25292 del 30/05/2012, Rv. 253001; Sez. 5, n. 50495 del 14/06/2018, Rv. 274602).

La Suprema Corte ha inoltre ribadito che è costante l’affermazione del principio che non è giustificabile alcuna autoliquidazione dei compensi dell’amministratore, dovendo la liquidazione di tali compensi trovare adeguata giustificazione in una delibera assembleare congruamente motivata della compagine sociale nel cui interesse egli ha operato.

In questa prospettiva si è evidenziato che commette il reato di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale il socio amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, ovvero l’amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (cfr. Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, Rv. 271464; Sez. 5, n. 17792 del 23/02/2017, Rv. 269639).

Si è, pertanto, più volte ribadito che integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, ancorché su delibera del consiglio di amministrazione, in quanto la previsione di cui all’art. 2389 cod. civ. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, sia determinata con delibera assembleare (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 46959 del 27/10/2009, Rv. 245399; Sez. 5, n. 50836 del 03/11/2016, Rv. 268433; Sez. 5, n. 11405 del 12/06/2014, Rv. 263056).

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, in applicazione di tali principi, anche la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perché, in tal caso, come è stato correttamente sottolineato, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'”an”, non è determinato anche nel “quantum” (cfr. Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, Rv. 273767) ovvero siano stati determinati nel loro ammontare con una delibera dell’assemblea dei soci adottata “pro forma”, al solo fine di giustificare l’indebito prelievo (cfr. Sez. 5, n. 3191 del 16/11/2020, Rv. 280415).

Sotto diverso, ma concorrente profilo, si è, altresì evidenziato come configuri il delitto di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta del socio amministratore di una società di persone che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, atteso che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e società, segnatamente di persone (oltreché di capitali, alla luce di Sez. U. Civ. n. 1545 del 2017, Rv. 642004-03), non è assimilabile né ad un contratto d’opera né ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che giustifichino di per sé il credito per il lavoro prestato, dovendo invece l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, Rv. 271464; Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, Rv. 279103; Sez. 5, n. 3191 del 16/11/2020, Rv. 280415).

Pertanto, ogniqualvolta l’amministratore di una società dichiarata fallita invochi a propria discolpa che l’atto di disposizione patrimoniale di cui si contesta la natura distrattiva sia stato in realtà giustificato dalla necessità di pagare un debito della società, è onerato di fornire la prova dell’effettiva esistenza del debito, in difetto della quale ricorre un’ipotesi di distrazione dei beni (cfr. Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, Rv. 279103; Sez. 5, n. 49509 del 19/07/2017, Rv. 271464).

Infine, la cassazione ricorda il tradizionale insegnamento giurisprudenziale secondo cui integrano il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell’impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori, anche attraverso il distacco di beni da detto patrimonio, senza immettervi alcun corrispettivo, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655; Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).

La sussistenza delle indicate circostanze, vale a dire che gli atti la cui natura distrattiva è stata affermata sul presupposto che essi non trovavano ragion d’essere negli scopi dell’impresa, erano in realtà giustificati nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità, non ha formato oggetto di specifica prova da parte dell’imputato, il cui ricorso deve, pertanto, sul punto, ritenersi, aspecifico e manifestamente infondato.