La lapidaria affermazione è dell’ex magistrato Piercamillo Davigo ed è contenuta in un suo articolo dell’1° settembre 2021, dall’elegante titolo “I veri problemi della giustizia: l’orda inutile degli avvocati” (consultabile a questo link) che proponiamo ai lettori di Terzultima Fermata per aprire una discussione sule considerazioni e sulle proposte ivi contenute: limitare il numero degli avvocati e inasprire le pene per chi non patteggia.
“Procedimenti monstre – Il numero impressionante produce tra l’altro lo stuolo dei legali (368 ogni 100.000 abitanti). Molti dei quali, però, vista la lunghezza dei processi, finiscono anche per guadagnare ben poco. Fra referendum (inutili o dannosi) e progetti di riforma inidonei a risolvere i difetti dei sistemi giudiziari e processuali italiani, vale la pena di riassumere quali sono i veri problemi della giustizia italiana, alla luce dei dati forniti dal Consiglio d’Europa (Organismo che raggruppa 47 Stati e quindi molto più ampio dell’Unione europea e che esprime la Corte europea del Diritti dell’Uomo).
I dati che seguono sono tratti dal sito dell’Associazione Nazionale Magistrati sulla base della relazione biennale della Cepej (acronimo che in francese significa Commissione europea per l’efficienza della giustizia). L’ultima relazione pubblicata su tale sito è quella del 2016, ma le variazioni a ogni biennio non sono molte e quelle del rapporto Cepej 2020 (consultabile sul sito del Consiglio d’Europa) forniscono dati similari.
Il primo mito da sfatare è che le risorse destinate all’amministrazione giudiziaria siano scarse. L’Italia spende ogni anno per il sistema giudiziario circa 48 euro per ogni abitante, più del Regno Unito e della Francia. Tuttavia quelle risorse non sono sufficienti a far funzionare una macchina in larga misura obsoleta e che deve fronteggiare carichi di lavoro ben più elevati di quelli di altri Stati. Non è neppure vero che i giudici di professione in Italia siano pochi: 6939 contro i 6935 della Francia (esclusi i magistrati addetti al pubblico ministero) pari a 11 ogni 100.000 abitanti contro i 10 ogni 100.000 abitanti della Francia, Paese per certi versi abbastanza simile all’Italia. I magistrati del pubblico ministero in Italia sono 3,4 ogni 100.000 abitanti contro 2,8 in Francia. Anche il personale amministrativo, contrariamente a quanto si dice è in linea con quello della Francia, anche se con un’età media avanzata a causa del blocco delle assunzioni per 25 anni (con la difficoltà di prepararli all’uso di nuove tecnologie).
Dove sono allora le anomalie italiane? Il dato che più colpisce è il numero di procedimenti. Nel settore civile, ogni anno, vengono avviate (ma anche definite) un numero di cause che è quasi il doppio di quelle avviate in Francia. Sostanzialmente lo stesso dato riguarda il settore penale.
Ritengo che un così elevato numero di procedimenti dipenda dalla sostanziale inefficacia delle pronunzie giudiziarie. Questa, a sua volta, deriva anzitutto dalla durata dei procedimenti (che peraltro dipende soprattutto dal loro numero in un circolo vizioso che si autoalimenta). L’eccessiva durata dei procedimenti danneggia chi ha ragione e favorisce chi ha torto nel civile. Inoltre, anche quando vi è una pronunzia esecutiva, è difficile ottenere il pagamento del proprio credito. Nel settore penale la durata dei procedimenti danneggia le vittime e gli imputati innocenti e favorisce gli imputati colpevoli.
Eppure secondo gli indicatori di performance stabiliti dalla Cepej, l'”indice di smaltimento” (Clearance Rate) e il “tempo medio di definizione dei procedimenti” (Disposition Time), i magistrati italiani hanno una elevata capacità di smaltimento dei procedimenti civili e commerciali, superiore al 100% (precisamente del 119%), riuscendo a definite un numero di procedimenti più elevato rispetto a quelli ricevuti,
Nel penale vengono iscritti 2.700.000 procedimenti penali ogni anno ed è un’illusione quella della depenalizzazione. Ciò che si poteva depenalizzare lo è già stato, mentre quello che si può ancora fare non ha rilievo statistico apprezzabile. Occorre quindi percorrere un’altra strada, come ridurre la perseguibilità d’ufficio e soprattutto potenziare i riti alternativi, in particolare l’applicazione di pena (il cosiddetto patteggiamento). In Italia pochissimi patteggiano perché il farraginoso codice di procedura penale consente in molti casi di arrivare alla prescrizione e nessuna pena è preferibile a una pena ridotta.
Peraltro l’abbattimento del numero dei procedimenti ha quale inevitabile effetto la riduzione del reddito degli avvocati: se si riuscisse a dimezzare il numero di procedimenti, il reddito di quei professionisti si ridurrebbe della metà (salvo l’improbabile ipotesi che costoro riuscissero a farsi pagare il doppio per ogni procedimento). Già oggi, secondo i dati della Cassa Forense, oltre la metà degli avvocati non supera il reddito di 20.000 euro l’anno. Per non determinare la discesa allo stato di povertà di notevole parte degli avvocati è necessario quindi ridurne il numero impressionante: in Italia 223.862 (ma quest’anno sono diventati oltre 250.000) contro i 62.073 della Francia. La media europea è di 147 avvocati ogni 100.000 abitanti, l’Italia ne ha ben 368.
L’imprevidenza della classe dirigente di questo Paese ha lasciato crescere a dismisura il loro numero nonostante gli avvertimenti da molti lanciati, senza imporre a Giurisprudenza il numero chiuso, pur previsto per altri corsi di laurea. Quindi bisogna avere chiaro che non esistono soluzioni di breve periodo o semplici e lo spaventoso debito pubblico italiano non consente la prospettata immissione di ingenti risorse nel sistema giudiziario.
Ciò che occorre fare è introdurre subito il numero chiuso a Giurisprudenza o, in alternativa, introdurre il numero chiuso degli avvocati (ma, in questa seconda ipotesi, che ne faremo dei numerosissimi laureati in Giurisprudenza?).
In secondo luogo occorre semplificare, almeno nel processo penale, le regole processuali e allargare la differenza fra le pene ottenibili con il patteggiamento e quelle prevedibili in caso di condanna in dibattimento (che non può consistere solo nell’abbattere le pene patteggiate, ma anche inasprire quelle per chi sceglie il rito ordinario).
Ma per cambiare la mentalità di tutti i soggetti interessati occorreranno comunque molti anni. Chi promette soluzioni semplici e immediate si illude o mente. La tagliola dell’improcedibilità nei successivi gradi di giudizio non risolve nessuno di questi problemi, ma vanifica il lavoro fatto e le risorse impiegate. A meno che non si ritenga che il servizio giustizia debba funzionare quale ammortizzatore sociale, come una sorte di reddito di cittadinanza”.
Siete d’accordo sulle soluzioni proposte: numero chiuso degli avvocati o numero chiuso alla facoltà di Giurisprudenza e inasprimento delle pene per chi non patteggia?
