Il tema è scottante ed è da sempre controverso, quale valore probatorio ha una identificazione fotografica non seguita da un riconoscimento in sede dibattimentale di ricognizione personale?
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 25122/2023 ha stabilito che in tema di prove non disciplinate dalla legge, ove all’individuazione fotografica effettuata in fase di indagini preliminari non faccia seguito, in fase dibattimentale, la ricognizione personale dell’imputato presente in termini di “assoluta certezza”, la prova dell’identificazione del predetto può essere raggiunta anche mediante la valutazione della precedente dichiarazione confermativa dell’individuazione fotografica, verificando l’esistenza di dati obiettivi, eventualmente anche riferiti dal testimone, che forniscano spiegazione del mancato ricordo in termini di sicura concordanza.
Fattispecie in cui la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione di condanna emessa a fronte del mancato riconoscimento dell’imputato da parte di testimone oculare, che aveva giustificato l’affievolirsi del ricordo inerente alla persona con il tempo trascorso dai fatti, ma che, al contempo, aveva riconosciuto il veicolo utilizzato per la fuga dai rapinatori, circostanza che trovava “aliunde” riscontro estrinseco.
Fatto
Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato deducendo con il primo motivo, violazione di norme processuali, in relazione agli artt. 189, 192 cod. proc. pen., 111 Cost., 6 CEDU, e vizio di motivazione in relazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata in punto di attendibilità dell’operata individuazione fotografica.
Secondo il ricorrente il dato probatorio dell’individuazione eseguita nel corso delle indagini, pur se richiamato attraverso la testimonianza dibattimentale, non poteva fondare da solo il giudizio di responsabilità, poiché sottratto ad ogni forma di verifica e controllo nel contraddittorio delle parti; né nel corso dell’esame dei testimoni erano stati esaminati profili idonei a dare sostegno all’affermata attendibilità di tale attività di individuazione.
Decisione
La cassazione premette l’importanza del tema dell’individuazione fotografica, della relativa portata probatoria e dei rapporti tra l’attività di individuazione operata nel corso delle indagini e gli esiti dell’istruzione dibattimentale.
È pacifico nella giurisprudenza di legittimità l’inquadramento dell’atto di individuazione (personale o fotografica) compiuto nel corso delle indagini preliminari nella categoria generale delle manifestazioni riproduttive di una percezione visiva; in quanto tale, esso «rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice» (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, Rv. 279437 – 01).
Si tratta, dunque, di prova non espressamente disciplinata dal codice di rito utilizzabile nel giudizio in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice (Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, dep. 2016, Rv. 266023 – 01).
Sia che l’atto di individuazione entri a far parte del patrimonio probatorio rilevante per il giudizio per effetto della scelta processuale della definizione allo stato degli atti, sia che di esso riferisca il testimone escusso nell’istruttoria dibattimentale (richiamando quanto avvenuto nel corso delle indagini preliminari, oppure quando l’individuazione avvenga direttamente nel corso del dibattimento), i criteri di valutazione di tale prova devono essere quelli propri dei risultati dichiarativi acquisiti: ciò comporta che «l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice» (Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Rv. 262908 – 01).
Si è, così, più volte affermato che «l’individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari, confermata dal testimone che nel corso dell’esame dibattimentale abbia dichiarato di avere compiuto la ricognizione informale e reiterato il riconoscimento positivo, seppure in assenza delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, costituisce, in base al principio di non tassatività dei mezzi di prova, un accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudice, la cui affidabilità dipende dall’attendibilità del teste e della deposizione da questi resa» (Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Rv. 271041 – 01; Sez. F, n. 43285 del 08/08/2019, Rv. 277471 – 03), mettendo in rilievo la decisività del giudizio di «congruenza del percorso argomentativo utilizzato dal giudice di merito a fondamento dell’affidabilità del riconoscimento e, quindi, del giudizio di colpevolezza» (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Rv. 267562 – 01).
Se la conferma durante il dibattimento dell’operata individuazione nel corso delle indagini da parte del testimone, mediante un nuovo atto positivo di individuazione, assicura un elevato grado di attendibilità della dichiarazione complessiva al cui interno si colloca la frazione dell’attestazione riguardante la percezione visiva riferita dal testimone, possono darsi ipotesi in cui mentre nel corso delle indagini il testimone ha eseguito l’attività di individuazione, con esiti di corrispondenza tra il soggetto individuato e la persona dell’imputato, nell’istruttoria dibattimentale il riconoscimento mediante individuazione non avviene.
Si realizza in queste circostanze la situazione processuale che è stata di frequente esaminata in relazione a deposizioni rese a dibattimento, quando la versione fornita del testimone in udienza non collima con quella resa nelle indagini o manca del tutto, perché il teste ammette di non ricordare i fatti su cui viene esaminato.
Ove si proceda a contestazioni mediante lettura dei verbali delle dichiarazioni rese in sede predibattimentale, si è più volte affermato che il contenuto degli atti formati nel corso delle indagini non può esser acquisito ai sensi dell’art. 500 cod. proc. pen., se non nelle ipotesi tassativamente previste dal comma della norma da ultimo citata; ma si è altresì precisato che, ove alla lettura delle dichiarazioni predibattimentali faccia seguito l’affermazione del teste di ricordare di avere in precedenza reso le dichiarazioni ascoltate e di non esser in grado di ripeterle per motivi obiettivi (aventi base logico-fattuale apprezzabile e ragionevole), aggiungendo che nella comparazione tra le diverse versioni il teste indica quella maggiormente attendibile spiegandone la ragione, le dichiarazioni predibattimentali possono essere legittimamente utilizzate ai fini della decisione «come dichiarazioni rese dal testimone direttamente in sede dibattimentale, poiché l’art. 500, comma 2, cod. proc. pen. concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni» (Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, Rv. 273455 – 01; Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Rv. 270091 – 0; Sez. 2, n. 13910 del 17/03/2016, Rv. 266445 – 0; Sez. 2, n. 31593 del 13/07/2011, Rv. 250913 – 0).
Il medesimo criterio di utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali va adottato quando l’oggetto della dichiarazione riguardi la descrizione dell’attività di individuazione fotografica eseguita: pur in presenza di una nuova attività di individuazione che non abbia fornito indicazioni concordanti con quella svolta nel corso delle indagini, «la prova dell’identificazione può essere raggiunta anche valutando la dichiarazione confermativa della individuazione fotografica effettuata» cui si aggiungano elementi obiettivi, eventualmente riferiti anche dal testimone, che forniscano spiegazione del mancato ricordo in termini di concordanza (Sez. 2, n. 16757 del 20/03/2015, Rv. 263509 – 01, relativa ad una fattispecie nella quale la persona offesa riconosceva, in incidente probatorio, l’imputato in termini non di certezza e, prima di procedere all’atto, confermava di avere in precedenza riconosciuto il proprio aggressore in fotografia, dichiarando che il decorso del tempo avrebbe potuto incidere sulle sue capacità di ricordo; nello stesso senso, valorizzando l’impossibilità di reiterare l’individuazione a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo rispetto al momento dell’attività svolta nel corso delle indagini, capace di incidere sulla precisione del ricordo, Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, Rv. 275585 – 01; Sez. 2, n. 55420 del 23/11/2018, Rv. 274470 – 01; Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, Rv. 265813 – 01, relativa ad una fattispecie di ricognizione negativa espletata dopo oltre quattro anni dal momento dell’individuazione operata in corso di indagini; Sez. 5, n. 43655 del 25/05/2015, Rv. 264969 – 01).
