L’amore tra una principessa e la figlia di un calzolaio: può stare in un libro di favole per bambini? (di Vincenzo Giglio)

È questa la domanda alla quale è stata chiamata a rispondere la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani che lo ha fatto con una sentenza depositata il 23 gennaio 2023 (ricorso n. 61435-19), allegata in calce al post nel testo originario redatto in lingua inglese.

La ricorrente, dichiaratamente lesbica e deceduta nel corso del giudizio, era una scrittrice specializzata in letteratura per bambini.

Aveva scritto “Cuore d’ambra“, un libro composto da sei fiabe che rappresentavano personaggi di differenti gruppi etnici o con disabilità mentali e trattavano questioni quali la stigmatizzazione, il bullismo, le famiglie di divorziati e l’emigrazione.

In due di esse la storia ruotava attorno a relazioni e matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Una delle due si intitolava “La principessa, la figlia del calzolaio e i dodici fratelli“,

La riassumiamo con le stesse parole della Corte, intanto sorridendo al pensiero di un’alta Corte internazionale, fatta di persone adulte e autorevoli, che si riunisce in camera di consiglio per leggere fiabe, immergersi nelle loro trame e interrogarsi sugli effetti che possono provocare nelle menti di bambini in tenera età.

C’era dunque una principessa che aveva rifiutato numerosi corteggiatori maschi e li aveva stregati, trasformandoli in usignoli.

Alla fine aveva sposato una sua amica d’infanzia, la figlia di un calzolaio.

Dopo il matrimonio, la principessa era venuta a sapere che i dodici fratelli di sua moglie erano tra coloro che aveva trasformato in usignoli.

Le due giovani donne si erano allora recate in un paese straniero dove l’amore era proibito e dove gli usignoli erano stati ingabbiati nel castello del malvagio re.

Si erano travestite da giardiniere e cuoco e avevano trovato lavoro nel castello del re, dove alla fine erano riuscite a invertire l’incantesimo lanciato sui dodici fratelli.

Una trama a spirale se ci si pensa: la principessa detesta i corteggiatori perchè sono maschi e li punisce allo stesso modo di Circe con i compagni di Ulisse; è una chiara discriminazione di genere perchè la punizione si abbatte su un modo di essere; ma poi la stessa eroina, ben consapevole della propria diversità, trova il modo di riparare al suo gesto.

Ora che abbiamo un’idea del libro, possiamo raccontare la storia, non più fiabesca, che si svolse attorno ad esso.

L’Università pubblica lituana delle scienze educative chiese al Ministero della Cultura una sovvenzione per pubblicare Cuore d’ambra, facendo presente che era stato valutato da un educatore e uno scrittore per l’infanzia i quali lo avevano giudicato adatto ai bambini della scuola primaria ed avevano sottolineato la necessità di favorire la tolleranza verso i gruppi sociali stigmatizzati.

A distanza di qualche mese, l’Università e il Ministero firmarono un  accordo che impegnava quest’ultimo a coprire una parte dei costi della pubblicazione.

Il libro fu effettivamente pubblicato a dicembre del 2013 in 500 copie, una parte delle quali venne distribuita tra biblioteche e librerie, e presentato alla fiera del libro di Vilnius.

Le cose cominciarono a complicarsi a marzo del 2014 allorché uno dei maggiori quotidiani nazionali, il Lietuvos rytas, pubblicò un articolo dal titolo “Fiabe sull’amore non tradizionale negli zaini dei bambini” che includeva un’intervista all’autrice del libro e i commenti critici di due membri del Forum dei genitori lituani che consideravano inappropriato proporre a bambini storie su relazioni omosessuali.

L’articolo e una successiva email pervenuta al Governo lituano che accusava il libro di incoraggiare perversioni indussero il Ministero della Cultura a disporre una verifica attraverso l’Ispettorato dell’etica giornalistica.

Le critiche aumentarono progressivamente di intensità al punto che il rettore dell’Università lituana sospese la distribuzione del libro e ottenne la restituzione delle copie non ancora assegnate.

Nel giro di poche settimane l’Ispettorato concluse la sua  indagine, esprimendo l’opinione (supportata da numerosi riferimenti normativi) che le due fiabe che rappresentavano coppie dello stesso sesso erano dannose per i minori.

Queste furono le parole testuali usate nella parte finale del rapporto: “L’Ispettore rileva che, secondo il parere degli esperti, la diffusione di informazioni che hanno un impatto negativo sui minori, contenute nel libro Amber Heart, non è vietata, ma al fine di tutelare gli interessi dei minori di 14 anni, la diffusione di tali informazioni deve essere limitata, vale a dire, se il libro è distribuito in un luogo a cui i minori possono avere accesso, deve essere distribuito in raccoglitori o imballaggi il cui design non pregiudichi lo sviluppo dei minori e su cui deve essere chiaramente visibile un’apposita etichetta di avvertenza ‘Le informazioni possono avere un impatto negativo sulle persone di età inferiore ai 14 anni’ o ‘N-14’“.

Il Ministero della Cultura recepì le raccomandazioni dell’Ispettorato e le trasmise all’Università con la richiesta di adottare le misure opportune.

Il rettore ritenne che le fiabe censurate non si accordassero alla politica dell’Università in tema di educazione dell’infanzia e inflisse una sanzione disciplinare al responsabile dell’editrice universitaria.

Seguirono ulteriori eventi ma i fatti rilevanti erano già accaduti.

La ricorrente, sostituita dopo la morte dalla madre ed erede, esperite inutilmente le vie giudiziarie interne, si è rivolta alla Corte europea dei diritti umani assumendo di essere stata vittima di una violazione dell’art. 10 della Convenzione europea che protegge la libertà di espressione.

I giudici dei diritti umani hanno preliminarmente ricordato che non sono mai state portate all’attenzione della Corte prove scientifiche o dati sociologici tali da suggerire che la semplice menzione dell’omosessualità o un dibattito pubblico aperto sullo status sociale delle minoranze sessuali potrebbero essere pregiudizievoli per i minori.

Hanno inoltre ritenuto che consentire ai minori di venire in contatto con manifestazioni a favore dei diritti della comunità LGBTI e con le correlate idee di diversità, uguaglianza e tolleranza serve a favorire la coesione sociale.

Al tempo stesso hanno rilevato che vari organismi internazionali si sono espressi criticamente verso leggi che mirano a limitare l’accesso dei bambini alle informazioni sui diversi orientamenti sessuali, sulla base di una duplice considerazione: non ci sono prove scientifiche che tali informazioni, quando presentate in modo oggettivo e adeguato all’età, possono causare danni ai bambini; al contrario, etichettare tali informazioni come dannose può contribuire ad alimentare la discriminazione, il bullismo e la violenza subiti dai bambini che si identificano come LGBTI o che provengono da famiglie dello stesso sesso.

Hanno giudicato inoltre significativo che le leggi di un numero non trascurabile di Stati parte del Consiglio d’Europa includano esplicitamente l’insegnamento scolastico delle relazioni tra persone dello stesso sesso e disposizioni volte a garantire il rispetto della diversità e il divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nell’insegnamento.

La Corte ha pertanto ritenuto che le misure adottate contro il libro della ricorrente miravano a limitare l’accesso dei bambini alle informazioni che descrivono le relazioni omosessuali come sostanzialmente equivalenti a relazioni di sesso diverso, etichettando tali informazioni come dannose, ed ha concluso che quelle misure non perseguivano uno scopo legittimo ai sensi dell’articolo 10 § 2 della Convenzione, il quale è stato conseguentemente violato.

La Corte ha infine ricordato che la ricorrente aveva anche lamentato di aver subito una discriminazione nell’esercizio del suo diritto alla libertà di espressione perché le restrizioni sul suo libro erano state motivate dal pregiudizio contro le minoranze sessuali ed aveva quindi invocato l’articolo 14 della Convenzione il quale sancisce il divieto di discriminazioni.

Ha ritenuto al riguardo che il riconoscimento della violazione dell’art. 10 fosse sufficiente ad assorbire il nucleo essenziale del ricorso.

La decisione fin qui sintetizzata è indubbiamente di grande rilievo e come tale è stata avvertita dalla stessa Corte europea come è dimostrato dall’assegnazione del caso alla Grande Camera.

I principi che vi sono affermati meritano condivisione per la semplice ma decisiva ragione che una società è libera e democratica se è in grado di reagire efficacemente ad ogni forma di intolleranza discriminatoria e se, soprattutto, sa farlo puntando sulla conoscenza e sulla formazione e condivisione di valori comuni piuttosto che sulla repressione.

Le menti in formazione dei bambini – dice la Corte – sono minacciate non dalla graduale e delicata presa di coscienza della diversità ma dalla sua negazione e dalla sua demonizzazione.

È chiaro che rimane decisivo in questo percorso di consapevolezza il ruolo di tutte le formazioni sociali, a partire da quello primario ed insostituibile della famiglia, ma le politiche pubbliche devono assecondarlo piuttosto che ostacolarlo. Questo rammenta la Corte ed è bene che lo abbia fatto.