Registrazioni effettuate dalla parte offesa: regime di utilizzabilità (di Vincenzo Giglio)

Cass. Pen., Sez. 2^, sentenza n. 27382/2023, udienza dell’8 febbraio 2023, ha trattato con attitudine sistematica la questione delle registrazioni effettuate dalla parte offesa, mettendo a fuoco la loro natura ed il regime della loro utilizzabilità, nei termini che seguono.

In generale

Circa il regime di utilizzabilità delle registrazioni effettuate dalla persona offesa il collegio riafferma:

(a) che lo statuto delle intercettazioni non è applicabile alla registrazione di conversazioni quando uno degli interlocutori è consapevole dato che in tal caso non viene in predicato la violazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni, ma solo la violazione del diritto alla riservatezza che rispetto al primo gode di una tutela attenuata;

(b) che la registrazione da parte di interlocutore consapevole ha natura di “documento”, se formata in ambito extra-procedimentale, mentre ha natura di “prova atipica” se è formata “durante il” o “in funzione del” procedimento. Tale prova atipica è utilizzabile nella misura in cui non viola i divieti che strutturano gli statuti delle prove tipiche e, segnatamente quelli che connotano la testimonianza e l’intercettazione.

Si tratta di una scelta ermeneutica generata dall’analisi dei contenuti delle sentenze emesse dalle Sezioni uniti nei casi “Torcasio” (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225466 – 01) e “Prisco” (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267 – 01) e, soprattutto, dai contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2009.

Di seguito il percorso giurisprudenziale tracciato dalle pronunce richiamate.

Giurisprudenza delle Sezioni unite penali

…La sentenza Torcasio

Le Sezioni unite, nella sentenza “Torcasio” hanno affermato:

(a) che deve escludersi che possa essere ricondotta nel concetto di intercettazione la registrazione di un colloquio, svoltosi a viva voce o per mezzo di uno strumento di trasmissione, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi. Difettano, in questa ipotesi, la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la terzietà del captante. La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a fare parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio);

(b) che il codice identifica e definisce il “documento” in ragione della sua attitudine a “rappresentare”, senza discriminare tra i differenti mezzi di rappresentazione e le differenti realtà rappresentate e senza operare alcuna distinzione tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazioni (cfr.: Corte costituzionale, sentenza 142/92). La dichiarazione, per altro, considerata nella sua globalità, integra un fatto e la relativa registrazione documenta non soltanto la circostanza che un determinato soggetto ha parlato in un certo contesto spazio-temporale, ma anche che ha pronunciato quelle parole che risultano incise sul nastro, salva ovviamente ogni valutazione circa la genuinità del documento, la fedeltà della riproduzione e la veridicità delle dichiarazioni di scienza così come registrate;

(c) che la registrazione non deve violare le norme che regolano lo statuto della testimonianza, e, segnatamente quelle previsti dagli articoli 62 e 195, comma 4, cod. proc. pen., ovvero quella della ricezione di dichiarazioni indizianti rese, senza il rispetto delle garanzie difensive, dalla persona sottoposta ad indagini o dall’imputato (articolo 63 cod. proc. pen.), quella concernente le dichiarazioni dei confidenti della polizia e dei servizi di sicurezza (articolo 203 cod. proc pen.) e quella delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini da persone informate sui fatti, che devono essere obbligatoriamente verbalizzate e costituiscono la base della testimonianza che si forma in contraddittorio nel dibattimento.

Tali principi, posti in relazione con lo statuto codicistico delle intercettazioni, hanno indotto parte della giurisprudenza a ritenere che sono inutilizzabili, in assenza di un provvedimento motivato di autorizzazione del giudice o di decreto dispositivo del pubblico ministero, le registrazioni fonografiche di conversazioni occultamente effettuate da uno degli interlocutori (nella specie, la vittima del reato) d’intesa con la polizia giudiziaria e attraverso strumenti di captazione dalla stessa forniti (Sez. 4, n. 48084 del11/07/2017, Rv. 271059 – 01; Sez. 2, n. 42939 del 10/10/2012, Rv. 253819; Sez. 6, n. 23742 del 07/04/2010, Rv. 247384), in quanto effettuate in violazione dello statuto delle intercettazioni posto a tutela del diritto alla segretezza delle comunicazioni tutelato dall’art. 15 della Costituzione.

Il collegio non condivide tale opzione ermeneutica in quanto si fonda sull’estensione dell’operatività dello statuto delle intercettazioni alla registrazione di conversazioni con interlocutore “consapevole”. Registrazione che, invece, come chiarito autorevolmente dalle Sezioni Unite “Torcasio” non è qualificabile come intercettazione. Peraltro essendo uno degli interlocutori consapevole non è in predicato la violazione del diritto alla “segretezza” delle comunicazioni, ma solo il diritto alla “riservatezza”, che ha una tutela attenuata rispetto a quello della segretezza delle comunicazioni e prevede la disponibilità delle informazioni da parte di chi legittimamente le detiene.

…La sentenza Prisco

Le Sezioni unite si sono nuovamente confrontate con il tema nel caso “Prisco”, quando hanno valutato la utilizzabilità processuale delle videoregistrazioni effettuate in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico ed hanno affermato che

(a) le videoriprese “non” effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc. pen.;

(b) le medesime videoregistrazioni eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento (Sez. U, n. 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234267 – 01).

Giurisprudenza costituzionale

Quello che risulta dirimente è, tuttavia, quanto affermato dalla Corte costituzionale: i giudici della Consulta sono stati chiamati a valutare la compatibilità con la Carta fondamentale degli artt. 234 e 266 e seguenti del codice di procedura penale, nella parte in cui il «diritto vivente» – avrebbe incluso tra i documenti, anziché tra le intercettazioni, le registrazioni di conversazioni (telefoniche o tra presenti) effettuate da uno degli interlocutori o dei soggetti ammessi ad assistervi, all’insaputa degli altri, d’intesa con la polizia giudiziaria (ed eventualmente con strumenti da essa forniti), e comunque nell’ambito «di un procedimento penale già avviato».

Nell’esaminare la questione la Corte costituzionale ha rilevato che, con la sentenza “Torcasio” le sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato due principi: «da un lato, il carattere di prova documentale – e non di intercettazione – delle registrazioni effettuate da uno dei soggetti partecipanti o ammessi a presenziare alla conversazione, quali essi siano (ivi compreso, dunque, l’operatore di polizia giudiziaria): ciò in quanto mancherebbe, in simile ipotesi, uno dei requisiti tipici dell’intercettazione, ossia l’estraneità al colloquio del captante occulto. Dall’altro lato, l’inutilizzabilità come prova della registrazione fonografica effettuata clandestinamente da personale di polizia giudiziaria, rappresentativa di colloqui intercorsi tra lo stesso ed i suoi confidenti o persone informate sui fatti o indagati, in quanto l’utilizzazione aggirerebbe i divieti espressi dagli artt. 63, comma 2, 191, 195, comma 4, e 203 cod. proc. pen. e volti a rendere impermeabile il processo da apporti probatori unilaterali degli organi investigativi».

La Consulta ha altresì rilevato che

(a) la sentenza “Torcasio” non prende specificamente in considerazione né il caso il cui la registrazione non venga effettuata direttamente dalla polizia giudiziaria, ma da un soggetto da essa “attrezzato”; né, correlativamente, l’ipotesi in cui l’agente “attrezzato” non si limiti a registrare la conversazione, ma trasmetta il suono ad una stazione esterna di ascolto gestita dalla polizia; né, infine, il problema della compatibilità della qualificazione come prova documentale della registrazione fonografica effettuata dalla polizia giudiziaria con il concetto di «documento» accolto dal vigente codice di procedura penale;

(b) ma, soprattutto, che le Sezioni Unite nel caso “Prisco” hanno affermato che le norme sui documenti contenute nel codice di rito si riferiscono esclusivamente ai documenti formati fuori (anche se non necessariamente prima) e comunque non in vista, né tantomeno in funzione del procedimento nel quale si chiede o si dispone che facciano ingresso. Requisito, questo, che costituisce un naturale portato del principio di separazione delle fasi: il vigente codice di rito, al fine di attuare i principi del processo accusatorio, ha infatti delineato una rigida separazione tra la fase delle indagini e quella del dibattimento, dettando una disciplina specifica e di segno restrittivo in tema di recupero, nella seconda sede, attraverso l’acquisizione della loro documentazione, dei contenuti degli atti formati nella prima;

(c) infine ha rilevato che la sentenza del 2006 ha escluso che le videoregistrazioni effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini possano essere introdotte nel processo come «documenti»: esse costituiscono piuttosto «documentazione dell’attività investigativa», rimanendo perciò suscettibili di utilizzazione processuale solo se «riconducibili a un’altra categoria probatoria». Ed ha chiarito che tali videoriprese ove eseguite in luoghi non fruenti di protezione costituzionale – quali i luoghi pubblici, ovvero aperti o esposti al pubblico – sono utilizzabili nel processo come «prova atipica», ai sensi dell’art. 189 cod. proc. pen.

In sintesi, la Corte ha ritenuto che il “diritto vivente” in ipotesi lesivo della Costituzione non era stato correttamente identificato dal giudice rimettente alla luce del combinato disposto dei principi affermati dalle sezioni unite “Torcasio” e “Prisco” e che avrebbe dovuto essere valutata l’estensione della soluzione offerta dalle sezioni unite “Prisco” per le videoregistrazioni, anche alla registrazione di conversazione effettuata nel corso del procedimento con la collaborazione della polizia giudiziaria.

La Corte costituzionale ha poi affermato, in modo lapidario, che le norme sui documenti, contenute in detto codice, si riferiscono esclusivamente ai documenti formati fuori (anche se non necessariamente prima) e comunque non in vista, né tantomeno in funzione del procedimento nel quale si chiede o si dispone che facciano ingresso (Corte cost. n. 320 del 2009; nello stesso senso Sez. 2, n. 19158 dei 20/03/2015, Rv. 263526).