Collare antiabbaio o “no bark”: farlo indossare al cane configura l’articolo 727 c.p. (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 35847 del 28 agosto 2023 ha stabilito che è configurabile l’abbandono di animali (condotta descritta nel secondo comma, chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze) nei confronti del proprietario del cane che indossi il collare anti-abbaio.

La sentenza viene segnalata per l’indirizzo contrastante in merito alla configurabilità dell’articolo 727 c.p. che da fattispecie di evento si “trasforma” a fattispecie di mera condotta.

La Suprema Corte premette che l’articolo 727, comma 2, cod. pen. punisce, come ipotesi contravvenzionale, “chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze“.

La norma è stata costantemente interpretata da questa Sezione nel senso che l’utilizzo di un collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, integra la contravvenzione di detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale (Sez. 3, Sentenza n. 21932 del 11/02/2016, Rv. 267345; Sez. 3, 11/02/2016, Rv. 267345; Sez. 3, 20/06/2013, Rv. 257685; Sez. 3, 24/01/2007, Rv. 236335).

La condotta contestata al ricorrente rientra pienamente nel paradigma normativo dell’art. 727 cod. pen. ed è specificatamente delineata laddove contesta l’aver prodotto sofferenze sul cane a seguito dell’uso del collare con le modalità accertate.

Non viene in rilievo la condotta di utilizzo ex se, ma le conseguenze sull’animale ovvero le sofferenze a seguito dell’uso dello strumento usato per l’addestramento.

Non rileva tanto la finalità dell’utilizzo del collare elettrico, finalità educativa/addestramento, ma la circostanza che il detto collare produca gravi sofferenze che la norma penale incriminatrice è diretta a punire.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il suo utilizzo integra il reato di cui all’art. 727 cod. pen., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale (così Sez. 3, n. 3290 del 03/10/2017, non mass.; Sez.3, n. 21932 del 11/02/2016, Rv. 267345; Sez.3, n. 38034 del 20/06/2013, Rv. 257685; Sez.3, n. 15061 del 24/01/2007, Rv. 236335).

Nel caso in esame, il Tribunale ha dato atto che sul collare vi erano applicati due elettrodi posti a diretto contatto con la pelle dell’animale privi di tappi di copertura da cui la prova della sicura sofferenza in capo a questo.

L’inflizione di scariche elettriche è produttiva di sofferenze e di conseguenze anche sul sistema nervoso dell’animale, in quanto volto ad addestrarlo attraverso lo spavento e la sofferenza.

La motivazione della sentenza è congrua e corretta a fronte della quale il ricorso è generico dal momento che sposta il thema decidendum sul versante della liceità dell’uso del collare come sarebbe confermato, a dire del ricorrente, da pronunce del TAR Lazio, situazione che integrerebbe la buona fede, ai sensi dell’art. 5 cod. pen., in presenza di ignoranza inevitabile della legge penale.

Comunque sia, anche l’art. 7 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia stabilisce che: “nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute ed il suo benessere, in particolare costringendo l’animale ad oltrepassare le sue capacità o forza naturale, o utilizzando mezzi artificiali che causano ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili”.

La sentenza in commento non tiene conto del precedente contrastante della medesima sezione 3 che con la sentenza numero 10758/2021 osservava che la condotta vietata, oggetto di incriminazione, non è la mera apposizione sull’animale del collare elettronico, ma il suo effettivo utilizzo, nella misura in cui ciò provochi “gravi sofferenze”: evento del reato, da intendersi nell’insorgere nell’animale di patimenti psico-fisici, in assenza dei quali si fuoriesce dal perimetro della tipicità.

Nel caso esaminato i carabinieri forestali verificarono che l’imputato stava utilizzando il proprio cane per l’attività venatoria, il quale indossava due collari: uno per il richiamo acustico e uno munito di due elettrodi in grado di dare piccole scosse a distanza grazie a un telecomando, che, nella specie, non venne rinvenuto.

A seguito di visita veterinaria, il cane fu trovato in buone condizioni di salute e senza segni cutanei all’altezza del collo, né furono accertate problematiche di udito cagionate, in ipotesi, dagli impulsi sonori.

Orbene, secondo la cassazione la motivazione è errata laddove ha ravvisato la sussistenza del reato unicamente dal fatto che il cane indossasse il collare elettrico, senza verificare che, tramite il suo concreto utilizzato, siano state cagionate all’animale “gravi sofferenze”.

Seguendo l’interpretazione del Tribunale, infatti, si trasforma il reato di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen. da fattispecie di evento a fattispecie di mera condotta, ciò che confligge con il chiaro dettato normativo, che richiede, per l’integrazione del fatto, l’insorgere di gravi sofferenze nell’animale.

La cassazione rileva che nella vicenda in esame, non solo tale accertamento è totalmente mancato, anche considerando che il telecomando con cui azionare a distanza il collare non è stato trovato nella disponibilità dell’imputato, ma emerge un elemento di segno opposto, stante l’accertata assenza sia di cicatrici sul collo del cane, sia di problematiche dell’udito: elementi che, ove presenti, sarebbero stati indicativi non solo del concreto utilizzato del collare, ma anche, e soprattutto, delle gravi sofferenze patite dall’animale quale conseguenza di quell’utilizzo.

Anche in questo caso registriamo contrasti giurisprudenziali nella medesima sezione.