Tardivo versamento delle somme riscosse dal concessionario per le giocate al lotto: legittimità del doppio binario (di Vincenzo Giglio)

Rileva Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 33468/2023, udienza del 14 giugno 2023 che la disciplina relativa al versamento delle somme riscosse dal concessionario della raccolta delle giocate del lotto alla Amministrazione Autonoma Monopoli dello Stato (ora Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) stabilisce un articolato sistema sanzionatorio.

In particolare, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria per il caso in cui il concessionario non rispetti il termine di versamento delle somme riscosse, che coincide con il giovedì della settimana successiva a quella della raccolta delle giocate (art. 33, comma 2, legge 23 dicembre 1994, n. 724) e una sanzione penale (con la previsione della pena alternativa della reclusione o della multa) laddove il concessionario ritardi il versamento oltre quel termine, con la possibilità, a particolari condizioni, di beneficiare di una speciale causa di non punibilità (art. 8, legge 19 aprile 1990, n. 85).

A tali sanzioni possono poi connettersi eventuali ulteriori autonome iniziative amministrative, che si sostanziano nella adozione, da parte dell’ente concedente, di un provvedimento di decadenza o di revoca della concessione (art. 94 d.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074).

Si è discusso di quali siano le condizioni fattuali per la configurabilità della diversa e più grave fattispecie di peculato prevista dall’art. 314 cod. pen., che richiede che il pubblico agente, lungi dall’aver solo ritardato il versamento di quanto dovuto, cioè dall’aver commesso solamente una irregolarità meramente amministrativo-contabile, si sia appropriato delle somme in questione attraverso il meccanismo di una interversio possessionis“, mostrando così di aver disposto di quel denaro uti dominus.

In passato si era ritenuto di poter identificare il momento in cui si realizza l’appropriazione e, dunque, la consumazione del più grave delitto codicistico di peculato, con quello in cui scade il termine di cinque giorni decorrente dalla ricezione, da parte del concessionario, della formale intimazione dei Monopoli di Stato ad effettuare il versamento.

Si era, così, sostenuto che il delitto di peculato per omesso versamento, da parte dal concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato si consuma allo spirare del termine indicato nella intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare, realizzandosi in tale momento la certa interversione del titolo del possesso: con la conseguenza, si era aggiunto, che il reato di peculato si pone in rapporto di progressione criminosa con il diverso e meno grave reato, conseguentemente assorbito, di cui al menzionato art. 8 della legge n. 85 del 1990, che si configura nel caso di iniziale ritardo del versamento oltre il termine di giovedì della settimana successiva a quella della raccolta delle giocate (in questo senso Sez. 6, n. 31920 del 06/06/2019, Rv. 276805).

Rispetto a tale impostazione è di tutta evidenza come non colga nel segno l’affermazione difensiva secondo la quale quella contenuta nel citato art. 8 legge n. 85 del 1990 sarebbe norma speciale rispetto a quella dettata dall’art. 314 cod. pen., sicché la prima ipotesi prevarrebbe sulla seconda giusta il criterio dell’art. 15 cod. pen.: in quanto il reato meno grave disciplinato dalla legge “extra codicem” è integrato dalla mera condotta omissiva di chi non rispetta il termine ivi prescritto, mentre il più grave delitto di peculato prescrive, come si è visto, un “di più”, costituito dall’appropriazione del denaro da parte del pubblico agente. In tale ottica, deve escludersi che sia incorsa in alcuna delle denunciate forme di inosservanza o errata applicazione delle richiamate norme di diritto penale sostanziale, la Corte territoriale che ha escluso che le condotte accertate nel caso di specie abbiano integrato gli estremi del solo illecito previsto dal più volte menzionato art. 8 della legge n. 85 del 1990.

Non conduce a differenti conclusioni l’affermazione, non condivisa dal collegio di legittimità, contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il ricorrente sarebbe responsabile del reato a lui contestato, perché il peculato si era consumato nel momento in cui il prevenuto non aveva dato seguito alla formale ingiunzione di pagamento con la quale, nell’ottobre 2014, il competente ufficio dei Monopoli di Stato aveva quantificato il totale dell’omesso versamento. Con riferimento al momento della consumazione del delitto de quo, il collegio reputa di dover privilegiare la differente soluzione, sostenuta dalla più recente giurisprudenza di legittimità di tale materia, con la quale si è asserito che, in tema di peculato per ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato, il reato non si perfeziona allo spirare del termine indicato nell’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare all’agente, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l’interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito uti dominus (Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, Rv. 283940).

Più in generale, la giurisprudenza di legittimità si è oramai orientata nel senso di escludere che il reato di peculato sia configurabile per il sol fatto che l’agente pubblico abbia violato una prescrizione formale ovvero risulti inadempiente rispetto ad un termine previsto per il versamento di quanto dovuto: la interversio possessionis, che sostanzia la condotta appropriativa del denaro e della altra cosa mobile altrui di cui il pubblico agente ha il possesso o la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, non può considerarsi provata sulla base di una mera violazione di una regola formale oppure di una irregolarità contabile, dovendo la condotta essere probatoriamente “colorata” dalla presenza di elementi fattuali che diano certezza che l’interessato abbia voluto comportarsi rispetto a quei beni come dominus. In questo senso è possibile leggere quelle pronunce giurisprudenziali che, in materia, richiedono l’accertamento di dati di contesto – quali, ad esempio, la protrazione della sottrazione della “res” per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile; la destinazione del bene al soddisfacimento di scopi estranei a quelli istituzionali; lo spostamento del denaro su conti personali; l’omessa o insufficiente rendicontazione di spese sostenute; l’impiego di falsi o di altri mezzi per dissimulare o per ‘coprire’ le proprie iniziative; ovvero altre circostanze obiettive da cui poter desumere l’atteggiamento appropriativo dell’agente – che possano giustificare l’applicazione di una così rigorosa norma incriminatrice (in questa ottica, tra le molte, Sez. 6, n. 3664 del 26/11/2021, dep. 2022, Rv. 282879; Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021, Rv. 281335; Sez. 6, n. 27910 del 23/09/2020, Rv. 279677; Sez. 6, n. 12087 del 04/03/2020, Rv. 278874; Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019, Rv. 278708; Sez. 6, n. 21166 del 09/04/2019, Rv. 276067).

In applicazione di tali criteri ermeneutici va confermata la legittimità della decisione adottata, nel caso di specie, dalla Corte territoriale, la quale, pur collegando – in maniera non condivisibile – la consumazione del reato commesso dall’odierno ricorrente al momento della intervenuta scadenza del termine entro il quale l’amministrazione dei Monopoli di Stato gli aveva formalmente intimato di versare quanto dovuto, non si è limitata a ritenere provata l’esistenza degli elementi costitutivi del delitto per il sol fatto che quel termine fosse scaduto: ma ha valorizzato la inequivoca circostanza che il prevenuto, pur avendo ricevuto quella intimazione nell’ottobre 2014 ed avendo cessato da tempo la gestione in concessione del gioco del lotto, senza allegare alcuna personale giustificazione, aveva trattenuto il denaro per un considerevole lasso temporale, provvedendo a restituire quanto dovuto all’ente pubblico solamente nell’ottobre dell’anno successivo.