Richieste di prova: una volta ammesse, il difensore non deve nuovamente dimostrarne la rilevanza (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 32571/2023 ha stabilito che non può postularsi in capo alla difesa – ex post, dopo che le prove sono già state ammesse – la doverosità di un’ulteriore stringente e puntuale discovery in relazione alla prevedibile portata informativa dei contributi testimoniali richiesti ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., allorquando non vi siano dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero o depositate all’esito di indagini difensive e senza una compiuta valutazione in merito all’assenza di decisività, o comunque di utilità, di tali incombenti istruttori.

Fatto

La Corte di appello ha condiviso la valutazione di genericità del capitolato di prova già operata dal Tribunale, rimarcando che i testi a discarico erano stati chiamati a riferire «su tutte le circostanze di cui ai capi di imputazione», senza alcun riferimento a loro specifiche posizioni soggettive o a peculiari patrimoni di conoscenza.

Decisione

La Suprema Corte premette che non risulta, tuttavia, in primo luogo, adeguatamente valutata l’assenza di decisività, o comunque di utilità, di tali incombenti istruttori (presupposto per procedere, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, nei termini delineati da Sez. 5, n. 8422 del 14/01/2020, Rv. 278794, espressamente richiamata anche nel provvedimento impugnato), né può comunque postularsi in capo alla difesa – ex post, dopo che le prove sono già state ammesse – la doverosità di un’ulteriore stringente e puntuale discovery in relazione alla prevedibile portata informativa dei contributi testimoniali richiesti ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., allorquando non vi siano dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero o depositate all’esito di indagini difensive.

D’altronde, proprio nella medesima ottica di compressione dei tempi processuali, non risulta essersi provveduto, anche in via officiosa, a dare impulso all’attività istruttoria, ad esempio disponendo ex art. 133 cod. proc. pen. l’accompagnamento coattivo (con eventuale condanna al pagamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, nonché alle spese alle quali la mancata comparizione aveva dato causa) della teste LR, ritualmente citata e mai presentatasi, accampando generici problemi di salute.

La revoca dibattimentale dell’ammissione dei testi della difesa, confermata nelle due sentenze di merito, in difetto di compiuta motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, integra una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dall’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., corrispondente al principio della parità delle armi sancito dall’art. 6, comma terzo, lett. d), della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, al quale si richiama l’art. 111, comma secondo, della Costituzione, in tema di contraddittorio tra le parti (cfr. Sez. 5, n. 16976 del 12/02/2020, Rv. 279166 – 01; Sez. 5, n. 2511 del 24/11/2016, dep. 2017, Rv. 269050).

La sentenza va dunque annullata, per la fondatezza dell’unico motivo di ricorso, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano che, nel procedere ad un nuovo esame della istanza difensiva, terrà conto dei rilievi sopra indicati.