Logica giudiziaria: evadere per non farsi processare per evasione (di Riccardo Radi)

Sei evaso per sottrarti consapevolmente alle notifiche del processo che si farà per l’evasione: ma si può anche solo pensarlo? A quanto pare sì.

Non è un gioco di parole o la massima estratta da una Summa del processo inquisitorio del Medio Evo ma è la motivazione del tribunale di Busto Arsizio e della corte di appello di Milano per “dimostrare” chela non conoscenza del procedimento è stata volontariamente determinata dal D., poiché causata dall’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari.

In pratica D. sarebbe evaso dagli arresti domiciliari per sottrarsi volontariamente alle notifiche e alla conoscenza del processo che lo riguarderà per l’evasione, la singolare motivazione è stata esaminata dalla Cassazione sezione 6 con la sentenza numero 34514/2023.

Fatto

La difesa rilevava che la prima e unica evasione concerne il reato di cui l’imputato deve rispondere e non può essere ovviamente considerata quale elemento sintomatico della sua volontà di sottrarsi alle notifiche relative al successivo processo penale.

In sede di costituzione delle parti, il giudice di primo grado rinnovava semplicemente le ricerche dell’imputato, mentre la Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione dei principi dettati a proposito dell’art. 420-bis cod. proc. pen.

Nel caso di specie, quindi, il processo si è celebrato sebbene il decreto di citazione a giudizio sia stato notificato solo formalmente all’imputato presso il domicilio eletto nello studio del difensore.

Decisione

La Suprema ricorda che le Sezioni unite (Sez. U., n. 23948 del 28/11/2019 – dep. 2020-, Ismail, Rv. 279420 – 01) hanno affermato che la conoscenza del procedimento, effettiva e reale e non soltanto presunta per la regolarità del sistema delle notificazioni, deve essere riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, che non è equiparabile a quella offerta dall’avviso di conclusione delle indagini preliminari, perché non contenente le informazioni essenziali per comprendere la prossima celebrazione del processo, il luogo ed il tempo dell’udienza, l’accusa contestata, fermo restando che l’imputato non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza (Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716).

Soltanto in questi ultimi casi, il processo può legittimamente celebrarsi in assenza dell’imputato, colpevolmente postosi nelle condizioni di non ricevere le necessarie informazioni e disinteressatosi del suo esito.

Si pretende dunque una conoscenza reale ed effettiva del procedimento, quale condizione imprescindibile per la valida celebrazione del processo senza la partecipazione dell’imputato, potendosi ritenere colpevole l’ignoranza del processo e legittimare il diniego della rescissione del giudicato.

La regolarità formale della notificazione, non eseguita nei confronti della persona del destinatario, in linea di principio non consente di escludere che egli ne sia rimasto incolpevolmente all’oscuro per l’assenza di contatti col difensore o per altra causa a lui non imputabile: la questione va risolta sulla base delle acquisizioni probatorie del caso specifico idonee a dimostrare la mancata effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato (Sez. 6, n. 21997 del 18/06/2020, Rv. 279680; Sez. 5, n. 31201 del 15/09/2020, Rv. 280137).

Nel caso in esame, la Corte territoriale non ha individuato sicuri indici che consentono di escludere che l’odierno ricorrente non avesse avuto conoscenza effettiva del procedimento o del provvedimento,

Giova premettere che, dalla consultazione degli atti – consentita, essendo censurata la violazione di legge processuale -, risulta che l’evasione non è avvenuta il 29 maggio 2018 e neppure il 25 settembre 2018, come erroneamente indicato nel decreto di citazione diretta e nell’avviso di conclusione di indagini, ma il 25 maggio 2018, che D. non ha mai eletto domicilio e che, da allora, non si è più reso responsabile di tale reato.

La Corte territoriale, quindi, è incorsa in errore quando ha interpretato l’evasione del 25 maggio 2018, ovvero il reato, del quale l’imputato era chiamato a rispondere, quale elemento sintomatico della deliberata sottrazione alla conoscenza da parte dell’imputato del successivo processo relativo proprio a tale reato.

Quanto al decreto di irreperibilità del 26 luglio 2019, lo stesso è stato emesso sulla scorta del verbale di vane ricerche della stazione CC di Busto Arsizio del 5 novembre 2018 come espressamente indicato.

In realtà, in data 5 novembre 2018, i Carabinieri non riuscirono a dare comunicazione dell’avviso ex art. 415- bis cod. proc. pen. all’imputato, in quanto questi, non più in stato di detenzione domiciliare dal 20 luglio 2018, nella sua abitazione, come sostenuto, invece, in modo errato dal procuratore generale, se ne era legittimamente allontanato.

Ad ogni modo, il decreto di citazione a giudizio veniva notificato il 16 novembre 2020 al difensore di ufficio in proprio e ai sensi dell’articolo 159 cod. proc. pen. e, quindi, successivamente alla emissione del decreto di irreperibilità.

In conclusione, non essendo rinvenibile alcun elemento positivo da cui desumere la volontà di D. di sottrarsi alla conoscenza della pendenza del processo, non poteva essere dichiarata l’assenza del predetto.

Conseguentemente, la sentenza impugnata nonché la sentenza di primo grado devono essere annullate e deve essere disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Busto Arsizio per il giudizio che non dovrà basarsi sulla massima: “Auspicio non est cognitio certa sed dubitatio incerta”.