Elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio e mancata “diligenza informativa”: non bastano a dimostrare la “volontaria sottrazione alla conoscenza del processo” (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 6^, sentenza n. 34523/2023, udienza camerale dell’11 maggio 2023, contesta l’orientamento interpretativo per il quale la mancanza di “diligenza informativa” dell’indagato equivale a una volontaria sottrazione alla conoscenza del processo.

Seguono adesso i passaggi chiave della motivazione della sentenza commentata.

Necessità dell’accertamento dell’effettiva conoscenza del processo

Emerge dagli atti che la dichiarazione di assenza dell’imputato non è stata preceduta dall’accertamento della sua effettiva conoscenza del processo, ciò in violazione del principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. unite, n. 23948 del 28/11/2019, Ismail, Rv. 279420) secondo il quale, ai fini della dichiarazione di assenza, non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, da parte dell’indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa.

La giurisprudenza successiva ha, peraltro, chiarito che, in tema di rescissione del giudicato, la colpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo non richiede che l’imputato si sia deliberatamente sottratto alla vocatio in iudicium con comportamenti a ciò finalizzati, essendo sufficiente che si sia posto consapevolmente e volontariamente nella condizione di sottrarsi alla conoscenza del processo, indipendentemente dai motivi di tale comportamento (Sez. 3, n. 35426 del 13/05/2021, Rv. 281851). Evidentemente, si deve trattare di condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto. L’art. 420-bis cod. proc. pen. non “tipizza” e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale.

Mancata diligenza informativa: da sola non dimostra la volontà di sottrarsi alla conoscenza del processo

Nel caso di specie, all’arresto in flagranza e all’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, ha fatto seguito, in buona sostanza, solo la manifesta mancanza di diligenza informativa da parte del condannato.

Quest’ultima è certamente una circostanza valutabile, ma che non pare di per sé determinante, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della “volontaria sottrazione dalla conoscenza del processo’: se si esaspera il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si opera un recupero delle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un’operazione non consentita (Sez. 5, n. 8164 del 24/01/2023, non mass.).

La Corte di appello ha respinto la questione di nullità dedotta dalla difesa sulla base dell’erroneo assunto che competerebbe all’imputato dimostrare di non avere avuto conoscenza del processo dopo l’elezione di domicilio effettuata al momento dell’arresto.

L’interpretazione della Corte di appello è evidentemente errata perché muove dall’assunto che la violazione dell’onere di diligenza di tenersi informato da parte dell’imputato conseguente all’elezione di domicilio si tradurrebbe automaticamente nella presunzione di conoscenza del processo, con la conseguente inversione dell’onere della prova dell’ignoranza dell’incolpevole conoscenza che graverebbe a suo carico. A parte l’incongruenza dell’equiparazione della mera possibilità di conoscenza del processo all’accertamento di detta conoscenza, si deve ribadire l’erroneità dell’interpretazione che pone a carico della difesa dell’imputato un onere probatorio non più previsto dalla legge che presuppone al contrario che sia la dichiarazione di assenza dell’imputato ad essere preceduta dall’accertamento in positivo della conoscenza del processo, e che subordina le situazioni di colpevole ignoranza del processo ad una verifica ugualmente rigorosa che non può discendere dalla mera inidoneità dell’elezione di domicilio quale indice presuntivo di comportamenti dell’imputato diretti intenzionalmente a sottrarsi alla conoscenza del processo. È solo nel procedimento di rescissione del giudicato previsto dall’art. 629-bis cod. proc. pen. e negli altri istituti riparatori correlati alla sopravvenuta comparizione personale dell’imputato dopo la celebrazione del processo o nel corso del suo svolgimento, come nei casi previsti dall’art. 420-bis, comma 4, cod. proc. pen., nonché dagli artt. 489, comma 2, e 604, comma 5-bis, secondo periodo, cod. proc. pen., che si introduce l’onere posto a carico dell’imputato della prova della incolpevole ignoranza del processo, ma in coerenza sistematica con il principio opposto che la dichiarazione di assenza al contrario richiede sempre il previo accertamento tanto della conoscenza effettiva del processo che della volontaria sottrazione a tale conoscenza, senza oneri probatori a carico della difesa dell’imputato, che, se riproposti, risulterebbero confliggenti con i principi affermati dalla Corte Edu in tema di processo in contumacia nelle note sentenze del 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia, del 18 maggio 2004, Somogyi c. Italia, e del 10 novembre 2004, Sejdovic c. Italia, richiamate nella citata sentenza Ismail delle Sezioni Unite n. 23948 del 28/11/2019 a fondamento dell’unica interpretazione possibile delle norme processuali sulla dichiarazione di assenza compatibile con tali principi sovranazionali.

Deve, pertanto, rilevarsi la nullità della dichiarazione di assenza dell’imputato perché carente sotto il profilo della verifica del necessario presupposto dell’accertamento della conoscenza del processo o della colpevole volontaria sottrazione a detta conoscenza da parte dell’imputato. Ne consegue l’annullamento delle sentenze di primo e secondo grado ai sensi dell’art.623, co.1, lett. b) cod. proc. pen. che richiama l’art. 604, comma 5-bis, stesso codice, che a sua volta prevede, nel caso di inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 420-quater, che il giudice dell’appello dichiari la nullità della sentenza con trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Non sussiste la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal pubblico ministero e dell’avviso previsto dall’art. 415-bis cod. proc. pen., poiché la invalidità della dichiarazione di assenza prescinde dalla regolarità formale del sistema delle notificazioni che precedono l’instaurazione del giudizio, la cui rituale esecuzione da parte del Pubblico ministero non è soggetta all’osservanza dei presupposti ai quali l’art. 420-bis cod. proc. pen. subordina soltanto la validità della dichiarazione di assenza. In particolare, la notifica dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. ove eseguita presso il difensore di ufficio ai sensi dell’art.161, comma 4 cod. proc. pen. non può ritenersi di per sé nulla, ove si tratti di valida elezione di domicilio presso il difensore di ufficio perché intervenuta nelle forme previste prima dell’introduzione del comma 4-bis dell’art. 162 cod. pen. novellato con I. 23 giugno 2017, n. 103 a decorrere dal 3 agosto 2017, che non richiedevano l’assenso del difensore domiciliatario. Va, infatti, considerato che la dichiarazione di assenza compete al giudice e presuppone la regolarità formale delle notifiche, le cui violazioni restano pur sempre soggette alla ordinaria disciplina delle nullità, ma solo essa richiede, in aggiunta a tale presupposto formale della regolarità delle notificazioni, anche l’ulteriore verifica sostanziale della conoscenza effettiva del processo da parte dell’imputato che deve risultare con assoluta certezza a norma dell’art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen.