Reato continuato: l’aumento non inferiore ad un terzo per i recidivi opera anche in caso di equivalenza della recidiva alle attenuanti (di Vincenzo Giglio)

Secondo Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 23546/2023, udienza del 21 aprile 2023, in tema di reato continuato, il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen., nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., opera anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti (Sez. U, Sentenza n. 31669 del 23/06/2016, Rv. 267044 – 01).

In tale decisione, le Sezioni unite hanno osservato che la recidiva richiede, da parte del giudice, un accertamento complesso e articolato, inerente la maggiore colpevolezza e l’aumentata capacità a delinquere, che solo se negativo esclude ogni conseguenza e che, invece, permane e sopravvive comunque alla valutazione comparativa operata nel giudizio di bilanciamento, perché, quando questo avviene, la recidiva è stata già riconosciuta ed applicata, essendole stata attribuita quell’oggettiva consistenza che consente il confronto con le attenuanti concorrenti: attività successiva, questa, rimessa alla discrezionalità del giudice.

Dunque, all’atto del giudizio di comparazione, l’azione dell’applicare la recidiva si è già esaurita, perché altrimenti il bilanciamento non sarebbe stato necessario: la recidiva ha comunque esplicato i suoi effetti nel giudizio comparativo, sebbene gli stessi siano stati ritenuti dal giudice equivalenti rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti, in assenza delle quali, però, la recidiva avrebbe comportato l’aumento di pena.

Va poi osservato che anche in altre occasioni, in cui la giurisprudenza di legittimità ha affrontato questioni comunque riferite alla recidiva, si è ritenuto che il giudizio di bilanciamento con altre circostanze concorrenti non determini conseguenze neutralizzanti degli ulteriori effetti della recidiva. E così, in tema di prescrizione, si è affermato che la recidiva reiterata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine di prescrizione, anche qualora nel giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti sia stata considerata equivalente (Sez. 6, n. 39849 del 16/09/2015, Rv. 264483; Sez. 2, n. 35805 del 18/06/2013, Rv. 257298; Sez. 1, n. 26786 del 18/06/2009, Rv. 244656; Sez. 5, n. 37550 del 26/06/2008, Rv. 241945). Ci si riferisce, inoltre, in simili casi, alla sostanziale “applicazione” della recidiva, rilevando che la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata, non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 cod. pen., un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare (v., ad es., Sez. 2, n. 2731 del 02/12/2015, dep. 2016, Rv. 265729, in tema di prescrizione; Sez. 1, n. 8038 del 18/01/2011, Rv. 249843; Sez. 1, n. 43019 del 14/10/2008, Rv. 241831; Sez. 1, n. 29508 del 14/07/2006, Rv. 234867, in tema di divieto di sospensione dell’esecuzione di pene detentive brevi; Sez. 1, n. 47903 del 25/10/2012, dep. 2012, Rv. 253883; Sez. 1, n. 27846 del 13/07/2006, Rv. 234717, in materia di detenzione domiciliare) .

Neppure può dirsi che tale ragionamento si ponga in contraddizione con il principio del ‘favor rei’, dal momento che il giudice può tanto escludere radicalmente la recidiva, quanto ritenerla sussistente e confrontarla con le circostanze concorrenti, con esiti diversi circa la dosimetria della pena.