Comportamento processuale dell’imputato: condizioni alle quali è valutabile come prova a carico (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 22105/2023 ha stabilito che in tema di valutazione della prova, è consentito al giudice, nella formazione del suo libero convincimento, di trarre dal comportamento dell’imputato argomenti utili per la valutazione di circostanze “aliunde” acquisite, senza che ciò possa determinare alcun sovvertimento del riparto dell’onere probatorio.

Nel caso esaminato sono state sottoposte alla Suprema Corte due questioni giuridiche di rilievo: la prima, concerne la possibilità per il giudice di pervenire a un giudizio non contraddittorio circa l’identificazione dell’autore del reato “allo stato degli atti” dopo aver disposto perizia fonica, rimasta in parte senza utile esito, motivata dalla necessità della prova scientifica ai fini della decisione; la seconda, concerne la possibilità di valutare quale argomento di prova sfavorevole all’imputato il rifiuto di fornire un saggio fonico al perito.

La cassazione, al fine di meglio inquadrare la questione ha puntualizzato che, diversamente da quanto asserito a pag.5 del ricorso circa l’antefatto dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. nel giudizio di primo grado, la necessità di disporre la perizia fonica per accertare la riconducibilità delle intercettazioni telefoniche all’imputato non risulta affermata sulla base della genericità del contenuto delle propalazioni del collaboratore di giustizia A.M., né sulla base della incerta attribuzione delle conversazioni all’imputato, essendo piuttosto necessitata, secondo quanto si evince dalla sentenza di primo grado (pag.56), dalla focalizzazione della difesa sulla negazione dell’attribuibilità del compendio intercettivo al C..

Non va, pertanto, trascurato che la perizia disposta dal giudice di primo grado è stata disposta allorché la difesa, richiamando i dubbi espressi nell’ordinanza del Tribunale del Riesame in merito alla gravità indiziaria a carico del C., aveva negato che l’imputato fosse l’interlocutore dei colloqui intercettati.

Che poi il giudice di primo grado abbia analizzato gli elementi indiziari forniti dall’accusa pervenendo alla conclusione per cui gli stessi consegnassero la certezza dell’identità dell’interlocutore non contraddice la necessità di un approfondimento su tale argomento che, per come descritto nella sentenza, era funzionale, con evidenza, a dare spazio alla tesi difensiva.

Tanto è vero che gli indizi dettagliatamente elencati alle pagg. 57-61 della sentenza di primo grado, arricchiti comunque dall’esito dell’esame peritale in merito all’attribuibilità della voce rilevata nelle intercettazioni telefoniche a un medesimo soggetto, risultano sostenere una motivazione legittima, non manifestamente illogica né contraddittoria.

Supera definitivamente ogni censura circa l’asserita contraddittorietà tra la ritenuta necessità di disporre la perizia e la sufficienza degli indizi sin dall’origine disponibili la motivazione fornita dalla Corte territoriale, che ha attribuito al rifiuto dell’imputato di fornire il saggio fonico il valore di argomento di prova idoneo a suffragare la tesi accusatoria.

Pertanto, la Cassazione ha ritenuto legittima la decisione del giudice di appello di valutare come argomento di prova la scelta dell’imputato di non fornire al perito un saggio fonico di comparazione, in mancanza di adeguata e specifica motivazione.