Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 26563/2023, camera di consiglio del 31 maggio 2023, ha messo ordine in un vicenda normativamente intricata.
Vengono in rilievo l’istituto della confisca in casi particolari, disciplinato dall’art. 240-bis cod. pen., e la correlata esigenza di tutelare i diritti dei creditori del soggetto
Come osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18/2023, “L’emanazione di un provvedimento di confisca, sia penale che di prevenzione, implica il problema della tutela dei creditori del soggetto che subisce tale misura, i quali perdono la garanzia patrimoniale sulla quale avevano riposto il proprio affidamento. Si tratta di una questione particolarmente delicata, rispetto alla quale viene in rilievo il bilanciamento tra il diritto dei creditori di soddisfarsi sui beni del debitore e l’esigenza di evitare che il reo si riappropri dei beni oggetto di confisca ovvero che gli stessi beni siano destinati a soddisfare creditori che avevano contratto con lo stesso nella consapevolezza che l’attività economica da lui svolta fosse illecita ovvero fosse diretta a celare attività illecite o al riciclaggio di denaro (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28 aprile 1999, n. 9) […] Limitandosi, ora, al solo profilo della tutela dei terzi creditori […] può ricordarsi che inizialmente il codice antimafia ha regolato questo aspetto nel Libro I, al Titolo IV (articoli da 52 a 65), rubricato appunto «La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali»; ma ciò ha fatto solo per le confische di prevenzione e nemmeno per tutte, essendo espressamente previsto (dall’art. 117, comma 1) che «[le] disposizioni contenute nel libro I non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto [13 ottobre 2011], sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti». In particolare, quanto alla disciplina dei termini, l’art. 57, comma 2, cod. antimafia ha previsto un termine perentorio non superiore a sessanta giorni assegnato dal giudice delegato, dopo il deposito del decreto di confisca di primo grado, per il deposito delle istanze di accertamento dei diritti di credito. Il successivo art. 58, comma 5, ha stabilito che, non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, le domande relative ad ulteriori crediti sono ammesse solo ove il creditore provi, a pena di inammissibilità della richiesta, di non aver potuto presentare la domanda tempestivamente per causa a lui non imputabile. La mancanza di una regolamentazione complessiva è stata oggetto di critiche da parte della dottrina. Ma la lacuna è stata colmata in breve tempo perché il legislatore, già con la legge di stabilità per il 2013, ha integrato tale disciplina per coprire tutte le ipotesi di confisca di prevenzione. Ha infatti stabilito – per le confische di prevenzione alle quali non si applicava il codice antimafia – un procedimento, analogo seppur non identico, all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012.
In particolare, quanto alla disciplina dei termini, l’art. 1, comma 199, ha previsto che entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della stessa legge n. 228 del 2012 (1° gennaio 2013), i titolari dei crediti devono, a pena di decadenza, proporre domanda di ammissione del credito al giudice dell’esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca. Il successivo comma 205 del medesimo art. 1 ha poi prescritto che tale termine decorre dal momento in cui la confisca diviene definitiva, o meglio – ha poi chiarito la giurisprudenza – dalla piena conoscenza della confisca divenuta definitiva. Invece, per le confische penali allargate è la stessa legge n. 228 del 2012 che detta una disposizione di raccordo – l’art. 1, comma 190 – che, sostituendo il comma 4-bis dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito, ha prescritto l’applicabilità delle disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati previste dal codice antimafia, così richiamando le disposizioni del suo Titolo I del Libro I, ma non anche – almeno testualmente – quelle del successivo Titolo IV, sulla tutela dei terzi. È solo con la legge n. 161 del 2017 che viene introdotta, per le confische penali, una disciplina analoga, quanto alla tutela dei creditori, a quella dettata per le confische di prevenzione. Da una parte, l’art. 31, sostituendo nuovamente il comma 4-bis dell’art. 12-sexies, ha previsto che le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice antimafia si applicano ai casi di sequestro e confisca penali, quelli di cui ai commi precedenti della stessa disposizione. D’altra parte, l’art. 37 (disposizione censurata) ha stabilito che le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 194 a 206, della legge n. 228 del 2012, si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell’art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992, come convertito e successivamente modificato, all’esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. prima del 13 ottobre 2011 e quindi anche alle confische allargate maggiormente risalenti, qual è quella oggetto del giudizio a quo. Il richiamo in blocco dei commi da 194 a 206 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, interpretati autenticamente come applicabili anche alle confische penali allargate relativamente a procedimenti penali iscritti nel registro degli indagati prima della data suddetta, trascina con sé anche la data di entrata in vigore di tale disciplina (1° gennaio 2013, ex art. 1, comma 561, della legge medesima). Quindi anche il termine, a pena di decadenza, di centottanta giorni, entro cui il creditore deve proporre la domanda di ammissione del credito (art. 1, comma 199, della legge n. 228 del 2012), deve considerarsi vigente […] dal 1° gennaio 2013“.
Premessa questa ricostruzione normativa e fatto seguire l’apparato argomentativo, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, primo periodo, della legge 17 ottobre 2017, n. 161, nella parte in cui non esclude che il termine di decadenza di cui all’art. 1, commi 199 e 205, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, possa decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37.
Data questa complessiva cornice, la prima sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza citata in premessa ha affermato il seguente principio di diritto:
“per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2023, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 37, primo periodo, legge 17 ottobre 2017, n. 161, nella parte in cui non escludeva che il termine decadenziale di cui all’art. 1, commi 199 e 205, legge 24 dicembre 2012, n. 228, potesse decorrere prima dell’entrata in vigore del menzionato art. 37, in caso di decisioni di confisca penale ex art. 240-bis cod. pen. intervenute nel periodo compreso tra l’01/01/2013, data di entrata in vigore della l. n. 228 del 2012, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, e il 19/11/2017, data della vigenza della l. n. 161 del 2017, la tempestività delle domande di tutela della posizione creditoria incisa dal provvedimento ablatorio, ove ancora pendenti, deve essere valutata avendo riguardo alla disciplina prevista dall’art. 58, comma 5, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nel testo attualmente in vigore, in quanto più favorevole di quello previgente, sicché tali domande risulteranno ammissibili ove sia decorso un tempo inferiore ad un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo“.
