Secondo Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 27411/2023, udienza pubblica del 20 gennaio 2023, l’amministratore di diritto risponde, unitamente all’amministratore di fatto, per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo svolga attività illecita (cfr., ad es., Sez. 5^, n. 32413 del 24/09/2020, Rv. 279831 – 01); tuttavia, si è altresì specificato come tale consapevolezza non possa dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore. Ed infatti, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, ne risponde anche il mero amministratore di diritto (cd. testa di legno), anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il suo diretto e personale obbligo di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5^, n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271754).
A tal proposito, ritiene il collegio che, dalla motivazione dell’impugnata sentenza, non emerga la dimostrazione di tale effettiva consapevolezza in capo al ricorrente. La Corte territoriale ha ritenuto integrato il dolo eventuale, senza però illustrare il fondamento di una siffatta conclusione e senza indagare il rapporto, in concreto, con il dolo specifico richiesto dalla fattispecie contestata o approfondire il profilo del pregiudizio per i creditori o dell’ingiusto profitto perseguito nel caso di specie.
Va infatti ricordato che, in più punti dell’iter motivazionale, la Corte territoriale, in coerenza col capo d’imputazione, ha fatto riferimento all’omessa tenuta delle scritture o alla sottrazione delle stesse. Pur dopo aver ribadito ciò, la Corte d’appello, operando un rinvio alla giurisprudenza di questa Corte in tema di differenza strutturale tra le due ipotesi di condotta di cui all’art. 216, primo comma, n. 2, L. fall. (da un lato, l’omessa tenuta delle scritture, ovvero la loro distruzione o il loro occultamento, e, dall’altro, quella relativa alla fraudolenta tenuta delle stesse: sul punto, v., tra le tante, Sez. 5^, n. 43966/2017), compie però un salto logico affermando che “nel caso di specie, essendo integrata la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale cd. generica di cui alla seconda parte dell’art. 216, primo comma, n. 2, L. fall., “è sufficiente il dolo generico, non essendo anche necessario che l’amministratore formale si sia rappresentato e abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità….”.
È allora necessario ribadire che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, «in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi» (nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che, a fronte della contestazione di un’ipotesi di sottrazione o distruzione della contabilità, aveva affermato la responsabilità dell’imputato per la diversa ipotesi di concorso nell’omessa regolare tenuta delle scritture contabili, dando peraltro atto nella motivazione dell’assenza della prova di una “sia pur parziale tenuta delle scritture contabili”: Sez. 5 – , Sentenza n. 26379 del 05/03/2019, Rv. 276650 – 01; Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, dep. 2023, Rv. 283983 – 01).
Inoltre, come anche di recente ricordato (Sez. 5^, n. 15743 del 18/01/2023, non massimata), una volta contestata la condotta per la quale è richiesto il dolo specifico, il giudice deve accertare la sussistenza delle prove in riferimento a tale ipotesi, non potendo, a fronte di una omessa tenuta della contabilità, anche parziale o limitata ad un determinato arco temporale, ritenere integrata, piuttosto, la condotta di tenuta irregolare della stessa. L’onere motivazionale si fa anche più stringente nelle ipotesi, tra cui rientra a pieno titolo la fattispecie in esame, in cui non si ravvisino condotte distrattive di alcun tipo; in tali casi, è necessaria una motivazione particolarmente rigorosa sull’elemento soggettivo dell’addebito di bancarotta fraudolenta documentale, perché in tal caso la prova non può giovarsi della presunzione per la quale l’irregolare tenuta delle scritture contabili è di regola funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale. Ciò è tanto più vero nel caso della bancarotta fraudolenta documentale a dolo specifico che, come ricordato, può manifestarsi anche in forma di parziale omissione; in tal caso, è possibile ritenere il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, purché sorretto da adeguata motivazione che dia conto anche della specifica funzione delle scritture contabili e della finalizzazione della loro omissione alla determinazione dell’evento su cui deve cadere la rappresentazione e la volontà del soggetto agente. In tal senso, la motivazione resa dall’impugnata sentenza soffre di un evidente lacuna, essendosi la Corte territoriale limitata ad affermare la “consapevolezza”, in capo all’imputato, “di consentire all’amministratore di fatto di poter contare sullo schermo formale rappresentato da un soggetto al quale veniva imputata la rappresentanza della società proprio nel momento in cui si palesavano le condizioni della società che ne determinavano il successivo fallimento.” Non avendo la Corte d’appello indicato ulteriori, e più probanti, elementi a sostegno del dolo specifico, va senza dubbio esclusa la possibilità di far rientrare la condotta del ricorrente in quella punita a titolo di dolo generico, la cui struttura fenomenica, come ribadito – in quanto basata su scritture che, per quanto incomplete o inidonee alla ricostruzione dell’andamento dell’impresa, sono state sottoposte agli organi fallimentari – risulta del tutto eccentrica rispetto alla condotta omissiva, anche parziale, contestata nel caso di specie.
Ne consegue che la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello.
