Colpevole al 100%? No, innocente, e salvo grazie ad una firma (di Riccardo Radi)

Questa storia dimostra che il dubbio andrebbe sempre coltivato nei processi penali anche quando le risultanze fattuali sembrano univoche e sono supportate da decine e decine di massime e principi espressi in maniera pacifica dalla giurisprudenza di legittimità.

Una rapina cruenta avviene a Ladispoli, il rapinatore con il volto parzialmente travisato entra e minaccia con una pistola marito e moglie all’interno di una gioielleria.  Il gioielliere abbozza una reazione e viene colpito con il calcio della pistola in testa, sono attimi di terrore e lo sguardo dell’uomo registra le fattezze dell’aggressore.

Il rapinatore si allontana dalla gioielleria con un motorino guidato da una donna, il particolare non è irrilevante.

Dopo poche ore i due rapinati individuano il rapinatore davanti ai carabinieri, nella foto che gli viene mostrata riconoscono l’uomo anche per un dettaglio particolare, una cicatrice all’altezza dello zigomo.

La prova sarebbe sufficiente per la richiesta di misura cautelare ma il pubblico ministero decide di richiedere la ricognizione con l’incidente probatorio, l’uomo sospettato ha precedenti per rapina ma l’allontanamento con il motorino non rientra minimamente nel suo modus operandi, è un rapinatore di banche che agisce nella zona del brindisino e non ha mai commesso reati al di fuori della sua regione.

Viene disposto l’incidente probatorio e in quella sede l’indagato viene di nuovo riconosciuto senza ombra di dubbio dal gioielliere che esclama: “Lo riconosco è il secondo da destra è lui il colpevole al 100%”.

Tutto sembra chiaro e nessun dubbio appare nell’individuazione prima fotografica e poi ricognitiva dell’indagato.

All’inizio cianciavo del dubbio che andrebbe sempre coltivato ebbene nel caso specifico in sede di incidente probatorio la difesa deposita una memoria dove indica che l’indagato il giorno della rapina commessa a Ladispoli alle ore 16,30 si trovava a Brindisi dove aveva firmato il registro davanti alla Questura alle ore 17,00 in quanto sottoposto alla misura di presentazione alla P.G.

Da Ladispoli a Brindisi sono 511 Km e l’indagato non aveva un fratello gemello, il Pubblico Ministero, con un passato da Commissario, alla fine dell’incidente probatorio mi chiede di attendere qualche minuto in una sala attigua.

Dopo pochi minuti viene ed esclama: “Avvocato ho telefonato a Brindisi e risulta la firma, la ringrazio di aver evitato un macroscopico errore giudiziario. A breve mi invieranno una nota e chiederò io stesso l’archiviazione

Una firma alle volte può salvarti la vita parafrasando la vecchia pubblicità della Telecom che vedeva Massimo Lopez, condannato a morte, esprimere l’ultimo desiderio: fare una telefonata interminabile, appunto che “salva una vita”.

Quindi il dubbio della vita e delle sue molteplici bizzarrie che alle volte possono salvarti e alle volte distruggerti a fronte di certezze probatorie e giurisprudenziali in materia di attendibilità del dato ricognitivo.

Vediamo in tema cosa dice la recente giurisprudenza della Suprema Corte.

La cassazione premette che quanto alla valutazione di merito sull’attendibilità del risultato del mezzo atipico di prova si segue da tempo il principio di diritto (Sez. 5, n. 23090 del 10/7/2020, Rv. 279437; Sez. 2, n. 11964, del 18/2/2021, Rv. 280994-02) così sintetizzabile: “l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – in fase di indagini è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa assunta in sede di deposizione testimoniale …”.

Il che impone al giudice di merito di focalizzare l’attenzione sulla valutazione di attendibilità della dichiarazione confermativa, alla luce dei seguenti parametri (costanza, coerenza, non contraddizione e sicurezza del dato ricognitivo) che valorizzano l’aspetto di persuasività del dichiarato dibattimentale o comunque assunto nel contraddittorio (ad es. in incidente probatorio, che appare spesso opportuno percorrere in ragione dell’età della persona offesa al momento del fatto e quando appaiono delle contraddizioni nel riconoscimento eseguito).

Sul tema, ricordiamo che secondo il diritto vivente, i riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria, così come quelli informali dell’imputato operati dai testi in dibattimento, costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice: l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, cosicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 2, n. 23090 del 20/07/2020, Rv. 279437; Sez. 6, n. 17103 del 31/10/2018, Rv. 275548; Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Rv. 271041; Sez. 2, n. 28391 del 27/04/2017, Rv. 270181; Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Rv. 267562; Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, dep. 2016, Rv. 266023).

È noto, in base agli studi di psicologia forense, che i riconoscimenti non sono esenti da errori.

Il legislatore del 1988 si è mostrato consapevole della estrema delicatezza e delle possibili insidie dell’atto ricognitivo, cosicché la diffidenza verso l’attendibilità dei risultati di questo mezzo di prova e l’esigenza di assicurare nella maggior misura possibile il rispetto di regole dirette ad evitare esiti influenzati e precostituiti lo hanno indotto «ad accentuare una regolamentazione minuziosa delle attività preliminari alla ricognizione vera e propria e dello svolgimento di questa» (così la relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale).

Pertanto, le specifiche circostanze in cui avviene l’atto, le modalità e i tempi devono indurre il giudice a valutare con maggiore o minore prudenza l’esito della prova, tipica o atipica, ed eventualmente a richiedere la presenza di ulteriori risultati probatori o di riscontri (in questo senso, da ultimo, v. Sez. 2, n. 34053 del 24/11/2020, non mass.).

Alla luce di questo principio vanno esaminati gli esiti di un riconoscimento fotografico (o di persona) effettuato da un testimone che nella fase delle indagini preliminari abbia individuato l’imputato quale il responsabile della condotta contestata.

Va premessa, però, una fondamentale distinzione fra l’ipotesi in cui una prima individuazione (che spesso è fotografica e avviene a breve distanza dal fatto) sia seguita da un successivo riconoscimento effettuato sempre nella fase delle indagini, con successiva celebrazione del giudizio con rito abbreviato, ovvero sia seguita dalla ripetizione dell’atto in dibattimento.

In questo secondo caso, l’esito positivo della prima individuazione ha valore di piena prova non solo quando il dichiarante reiteri in dibattimento l’atto atipico, ma anche qualora egli confermi di avere all’epoca effettuato il riconoscimento positivo nei termini indicati nel verbale redatto dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini, ma che in ragione del tempo trascorso non sia in grado di reiterare lo stesso atto con sufficiente grado di attendibilità (Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, Rv. 275585) ovvero quando l’individuazione non possa essere reiterata in dibattimento, ma venga ritualmente acquisito il verbale redatto nella fase delle indagini (Sez. 2, n. 28391 del 27/04/2017, Rv. 270181 nonché, da ultimo, Sez. 2, n. 37135 del 02/10/2020, non mass.).

Con altre pronunce (Sez. F, n. 43285 del 08/08/2019, Rv. 277471 e Sez. 2, n. 32107 del 23/09/2020, non mass.) la cassazione, aderendo a detti principi, ha nel contempo ribadito che l’esito negativo dell’atto in dibattimento può essere superato da quello positivo delle indagini solo ove emergano concreti elementi indicativi del fatto che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l’esito dell’atto ricognitivo, ai sensi dell’art. 500, comma 4, cod. proc. pen. (in questo senso cfr., già in precedenza, Sez. 2, n. 43294 del 02/10/2015, Rv. 265078; Sez. 4, n. 8272 del 13/01/2011, Rv. 249659).

Il minoritario indirizzo (espresso da Sez. 5, n. 51729 del 12/10/2016, D.B., Rv. 266680 e Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, Rv. 265813, nonché, più di recente, da Sez. 2, n. 55420 del 23/11/2018, Rv. 274470) non appare condivisibile in quanto – come rimarcato nelle recenti pronunce citate – contrasta con la formulazione dell’art. 500, comma 2, cod. proc. pen. (risultante dalla modifica apportata dalla legge n. 63 del 2001, conseguente a quella dell’art. 111, comma 4, Cost.), che consente di valutare il contrasto fra le dichiarazioni rese nella fase delle indagini e quelle dibattimentali soltanto “ai fini della credibilità del teste”.

Detta disposizione, nel momento in cui – secondo il diritto vivente – il riconoscimento fotografico rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, è senza dubbio pertinente e, con essa, il principio, pacifico nella giurisprudenza di legittimità alla luce dell’inequivoco dato normativo, oltre che della ratio della modifica introdotta dalla legge sul “giusto processo”, secondo il quale le dichiarazioni rese dal testimone nel corso delle indagini preliminari e lette per le contestazioni – al di fuori dei casi di consenso delle parti o di violenza, minaccia o subornazione – possono essere valutate solo ai fini della credibilità dello stesso, ma mai come elemento di riscontro o come prova dei fatti in esse narrati (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, Rv. 273455; Sez. 2, n. 13910 del 17/03/2016, Rv. 266445; Sez. 3, n. 20388 del 17/02/2015, Rv. 264035; da ultimo v. Sez. 2, n. 37915 del 17/11/2020, non mass.).

Nella diversa ipotesi in cui ad una prima individuazione fotografica nella fase delle indagini segua un’altra individuazione od una ricognizione come atto tipico, disposta in sede di incidente probatorio, ed il giudizio venga celebrato con rito abbreviato, non si pone alcuna questione in ordine alla doverosa valutazione ai fini di prova anche del primo atto atipico.

La medesima conclusione vale anche nel caso in cui la ricognizione di persona venga effettuata in sede di giudizio abbreviato condizionato, stante il carattere integrativo e non sostitutivo che l’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. attribuisce all’attività istruttoria nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 12791 del 19/02/2020, Rv. 279060; Sez. 3, n. 11568 del 24/02/2015, P., Rv. 262984; Sez. 3, n. 11658 del 17/01/2015, Rv. 259703).

Tutto bello, tutto ponderato, ma ricordiamoci sempre il dubbio.