Revoca del lavoro di pubblica utilità: il periodo già svolto deve essere sottratto dalla pena complessivamente inflitta (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 23745/2023, camera di consiglio del 4 maggio 2023, chiarisce gli effetti conseguenti all’interruzione del lavoro di pubblica utilità ed alla sua revoca conseguente.

La revoca non produce effetti retroattivi

Il ricorso pone la questione in punto di diritto dell’individuazione degli effetti derivanti dall’interruzione del lavoro di pubblica utilità, quale pena sostituiva applicata al condannato ai sensi dell’art. 186 co. 9 bis cod. strada e del conseguente provvedimento di revoca, imponendo di verificare se operi in via retroattiva senza assegnare alcuna rilevanza al periodo di lavoro già svolto, oppure se debba tenersene conto mediante lo scomputo dalla pena residua ancora da eseguire, previo ragguaglio.

Il tema è stato già affrontato dalla giurisprudenza di legittimità in una recente pronuncia che, condivisibilmente, ha ritenuto che la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, comporti il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività, mediante i criteri di ragguaglio dettati dall’art. 58 d. lgs. 28 agosto 2000, n. 274. (Sez. 4^, n. 4176 del 28/1/2022, Rv. 282579; conf. Sez. 1^, n. 42505 del 23/9/2014, Rv. 260131).

L’analisi normativa

La norma di riferimento – com’è noto – è costituita dall’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, secondo cui, in caso di violazione degli obblighi connessi al lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice dell’esecuzione dispone “la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida e della confisca”.

Di per sé la disposizione, nel suo testuale tenore prescrittivo e nell’interpretazione letterale per l’uso del verbo “ripristinare”, pare richiedere l’eliminazione per il futuro della pena sostitutiva e l’applicazione di quella originariamente inflitta  e sostituita con il lavoro di pubblica utilità, senza testualmente disporre alcunché per il caso in cui tale misura punitiva abbia trovato attuazione concreta sino alla violazione delle relative prescrizioni e quindi nemmeno disciplinare positivamente gli effetti prodotti dalla revoca disposta.

Il collegio di legittimità ritiene, tuttavia, di ribadire il principio di diritto affermato dalle citate decisioni.

È stato infatti condivisibilmente osservato in tali pronunce che gli artt. 186 e 187 del codice della strada operano il richiamo esplicito, in quanto compatibile, all’istituto del lavoro di pubblica utilità come disciplinato dal d.lgs. n. 274 del 2000, che regola il procedimento davanti al giudice di pace e prevede le sanzioni irrogabili per i reati attribuiti alla sua competenza, venendo in rilievo, in particolare, il disposto dell’art. 58, secondo il quale, ad ogni effetto giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità si considerano come pene detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria.

Si deve ritenere pertanto che la limitazione della libertà personale subita da chi abbia espletato attività lavorativa nell’interesse della collettività costituisce per l’ordinamento sanzione detentiva espiata e non misura alternativa alla carcerazione secondo la disciplina dettata per gli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario.

Dunque, il comportamento del condannato inadempiente che non si sia del tutto sottratto all’esecuzione dell’attività impostagli a titolo di sanzione para-detentiva, ma ne abbia violato gli obblighi, con una presenza saltuaria, susciterebbe una duplice reazione dell’ordinamento, da un lato la sanzione penale per il reato commesso ai sensi dell’art. 56 d. lgs. n. 274/2000 e dall’altro il prolungamento della durata della pena originaria sostituita per effetto della revoca.

Per evitare tale irragionevole inasprimento punitivo, che pone nel nulla il pur corretto comportamento esecutivo tenuto, seppur temporalmente limitato, e che finirebbe per contrastare la finalità rieducativa del reo, cui anche il lavoro di pubblica utilità tende, è stato affermato il principio di diritto sopra ricordato, che si ritiene di ribadire.