Infortunio sul lavoro: la negligenza o imperizia dei sanitari che curano la vittima non interrompe il nesso causale tra la condotta colposa di chi lo ha cagionato e l’evento lesivo (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 23718/2023, udienza pubblica del 19 gennaio 2023, affronta la questione delle cause sopravvenute in grado di interrompere il nesso di causalità tra condotta ed evento.

Vicenda giudiziaria

Un operaio edile, mentre è intento a costruire un muretto in calcestruzzo, prova a tagliare una radice sporgente con un badile ma da questo si stacca una scheggia metallica che lo colpisce all’occhio sinistro, non protetto da occhiali di sicurezza o altri schermi.

L’incidente rende necessaria la rimozione chirurgica del cristallino e la sua sostituzione con uno artificiale ed un trapianto corneale non riuscito per rigetto con conseguente inabilità al lavoro per 553 giorni e menomazione dell’integrità psico-fisica riconosciuta dall’Inail in misura del 25%.

Il datore di lavoro dell’infortunato viene riconosciuto in entrambi i gradi di merito responsabile del reato di lesioni colpose gravi conseguenti alla violazione di plurime regole a tutela della sicurezza del lavoratore: non aveva fornito i necessari dispositivi di sicurezza (gli occhiali protettivi) il cui suo era comunque rimesso alla discrezionalità di ciascun lavoratore, la specifica attività compiuta dall’operaio non era contemplata né dal DVR (documento valutazione rischi) né dal POS (piano operativo sicurezza) né a costui, benché svolgesse mansioni ad alto rischio, era stata impartita una formazione adeguata; non c’era un preposto o caposquadra che vigilasse sul corretto uso dei dispositivi di protezione e sul rispetto di specifiche disposizioni da seguire.

I motivi di ricorso per cassazione

Tra i vari motivi, qui interessa specificamente uno di essi.

Il difensore del ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione della legge penale in relazione all’inosservanza del criterio di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti anche rispetto all’omessa valutazione di decorsi causali autonomi.

Ha censurato a tal fine l’omessa valutazione dell’incidenza del ritardo diagnostico intervenuto in occasione dell’accesso al Pronto Soccorso da parte della persona offesa ed il fatto che la menomazione dell’organo della vista sia dipesa dalla non immediata estrazione del corpo estraneo dall’occhio, da ricondurre alla condotta dei sanitari che la sera del sinistro si sono limitati a comunicare l’assenza dello specialista ed a rimandare a casa il paziente.

Pertanto – ha sostenuto il difensore – la concretizzazione del rischio di gravità tale da comportare la sussunzione del contegno omissivo nell’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 590 cod. pen. è stata imputata in maniera oggettiva all’imputato pur a fronte di un evento imprevedibile.

La decisione della Corte di cassazione

Il collegio decidente ha considerato inammissibile per genericità il motivo dedotto dalla difesa.

Ciò perchè la tesi difensiva che ipotizza una condotta colposa della vittima o di terzi soggetti successivamente all’infortunio con conseguente efficienza causale rispetto all’indebolimento permanente dell’organo non è giustificata da alcun appiglio concreto nell’istruttoria espletata.

Anche a prescindere da questa constatazione già dirimente, il collegio ha dichiarato di aderire al principio per il quale l’eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un infortunio sul lavoro, ancorché di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l’infortunio e la successiva morte della vittima (o l’aggravamento delle lesioni) posto che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l’evento letale (cfr. Sez. 4^, n. 25560 del 02/05/2017 – Rv. 269976).