Se anche il legislatore si fa ispirare da “Striscia la notizia” (di Riccardo Radi)

Modificare il rinvio dell’esecuzione della pena obbligatorio per le donne incinte o per le madri di infante con età inferiore ad un anno per seguire la crociata di “Striscia la notizia”.
Il legislatore deve seguire le pulsioni e le emozioni che scatenano i servizi delle trasmissioni televisive?
A leggere la relazione alla proposta di legge numero 1037 pubblicata oggi sul sito della Camera dei Deputati (allegata alla fine del post) sembrerebbe proprio di sì.
I proponenti sottolineano che bisogna riformare l’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, al fine di disciplinare i casi in cui le donne che compiono borseggi in maniera abituale e professionale, a causa del loro stato di gravidanza o dell’essere madri di bambini piccoli, evitano il carcere e continuano a delinquere.
Nella relazione accompagnatoria alla proposta si legge: “L’articolo 146 del codice penale prevede il differimento della pena che debba essere eseguita nei confronti di donna incinta, di madri con un figlio di età inferiore a un anno, di chi è affetto da AIDS o da altra malattia grave.
Da tempo, ormai, anche alcuni programmi televisivi di rilievo nazionale fra cui «Striscia la notizia» hanno avviato una vera e propria crociata contro le borseggiatrici che si aggirano indisturbate nelle stazioni delle metropolitane sottraendo portafogli, denaro, documenti e altri averi ai malcapitati passeggeri
In altri termini, il tema delle borseggiatrici incinte va affrontare cambiando l’approccio al problema evitando di considerare lo stato di gravidanza una scusa per evitare la pena: chi commette reati deve essere sanzionato, pur nel rispetto dei diritti di tutti, compreso il nascituro.
Per la sicurezza dei cittadini e per la certezza della pena, la riforma proposta si rende necessaria affinché le borseggiatrici in stato di gravidanza non restino impunite e, sulla base della valutazione del magistrato, possano scontare la pena presso una casa famiglia o in un carcere per detenute madri”.