Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 21634/2023, udienza del 3 febbraio 2023, interviene sul tema della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, declinato in un procedimento penale ove è stato contestato il reato di lesioni guaribili in sette giorni.
Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (SU, sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590).
Tali principi sono stati ribaditi dalla più recente pronunzia (SU, sentenza n. 18891 del 27/01/2022, Rv. 283064) che, intervenendo sul diverso tema della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto in relazione a pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione, ha confermato la necessità di un giudizio complessivo sul fatto operato attraverso la ponderazione di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall’entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall’intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti.
Nella motivazione di tale pronunzia si è osservato che la ratio dell’istituto viene generalmente individuata nell’intento del legislatore di ampliare l’ambito della non sanzionabilità di determinate condotte astrattamente integranti gli estremi di un reato, perseguendo in tal modo finalità strettamente connesse ai principi di proporzione e di extrema ratio della risposta punitiva, con la realizzazione di effetti positivi anche sul piano deflattivo, attraverso la responsabilizzazione del giudice nella sua attività di valutazione in concreto della fattispecie sottoposta alla sua cognizione.
Il suo scopo primario, come affermato dalle Sezioni unite nella decisione Tushaj del 2016 sopra citata, è infatti «[ ] quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo».
Nella medesima prospettiva si è precisato, con la richiamata decisione, che «il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento l’art. 131-bis cod. pen., è comunque un fatto offensivo, che costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per affermare la natura di extrema ratio della pena e agevolare la rieducazione del condannato, sia per contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione. Ne consegue che il fatto non è punibile non perché inoffensivo, ma perché il legislatore, pur in presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, ritiene che sia inopportuno punirlo, ove ricorrano le condizioni indicate nella richiamata disposizione normativa“.
