Positioning: l’aggancio di un dispositivo telefonico ad una cella non dimostra da solo la presenza dell’utilizzatore nell’area di riferimento della cella stessa (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 5^, sentenza n. 12771/2023, udienza del 143 marzo 2023, ha delimitato in modo rigoroso il peso probatorio attribuibile ai dati conoscitivi acquisibili mediante la tecnica del positioning, vale a dire la localizzazione mediante tracciamento telefonico e individuazione della cella agganciata.

Decisione

Il collegio decidente ha preliminarmente attribuito il valore di massima di esperienza al fatto che ogni apparato telefonico mobile emetta una frequenza che gli consente di collegarsi alla cd. “cella” più vicina quando vi è traffico telefonico in atto.

Ogni cella si riferisce a una determinata porzione di territorio, entro la quale è collocata un’antenna capace di recepire il segnale del telefono che si venga a trovare in sua prossimità.

Sennonché – ha ricordato il collegio – poiché il segnale è ricevuto con intensità diversa a seconda della vicinanza ad una cella o a un’altra, è possibile stabilire soltanto con una certa approssimazione la posizione del telefono che emette il segnale. Poiché, dunque, l’apparato radiomobile che aggancia una determinata cella può trovarsi in tutti i punti del territorio che ricadono all’interno di essa, la possibilità di identificare la sua posizione è strettamente collegata alla superficie di copertura della cella stessa: in altri termini, la precisione è maggiore se la cella è piccola (cella urbana), minore, se si tratta di una “macrocella”, tipica degli ambienti extraurbani.

Occorre inoltre tener conto che, in particolari condizioni di sovraccarico telefonico, è ben possibile che l’apparato telefonico mobile agganci una cella contigua alla porzione di territorio in cui si trovi, che risulti più libera.

Ne deriva che le indicazioni fornite dal segnale captato dalla cella non consentono l’esatta localizzazione dell’utenza abbinata ad un apparecchio telefonico mobile, sussistendo margini di errore anche di centinaia di metri, se non di chilometri.

Data questa incertezza, l’affermazione della presenza in un certo luogo del detentore del dispositivo richiede necessariamente ulteriori elementi  tali da dimostrare la sua reale presenza fisica in quel medesimo luogo, da escludere che il dispositivo fosse detenuto da qualcun altro, da precisare l’esatta posizione all’interno dell’area cui si riferisce la cella.

Commento

La decisione della quinta sezione penale è condivisibile senza riserve.

Si contrappone infatti ad indirizzi interpretativi che valorizzano fideisticamente i risultati del positioning, ignorando i margini di errore che gli sono connaturali.

Applica inoltre altrettanto rigorosamente la norma contenuta nell’art. 1, d.l. n. 132/2021, convertito nella L. n. 178/2021 nella parte in cui, limitatamente ai dati sul traffico telefonico o telematico acquisiti in sede penale prima della sua entrata in vigore, prevede che li si possa utilizzare a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova.