Alle volte nelle canzoni si trovano degli incipit che rendono meglio di mille parole.
Questo verso, “Cercavi giustizia, ma trovasti la legge” è tratto da una famosa canzone di De Gregori, “Il bandito e il campione”, ed è stato scritto dal fratello Luigi Grechi che si firma con il cognome della madre.
La frase fotografa la distanza siderale che spesso confonde il comune cittadino che ricerca giustizia ed affronta la legge.
La legge è volubile e alle volte incomprensibile perché “I pubblici atti e le leggi sono scritti in una cotal lingua bastarda che le ignude frasi suggellano la ignoranza e la servitù di chi le detta”, per dirla crudamente con un verso di Ugo Foscolo.
Il problema atavico della chiarezza del diritto e di come vengono scritte le leggi e le sentenze.
La questione è fondamentale per tutti, perché le leggi hanno il potere di modificare la vita di ognuno di noi con la loro interpretazione e applicazione (Gianrico Carofiglio, Con parole precise, Laterza 2015), la forma poco chiara, alle volte incomprensibile della legge ed anche delle sentenze è un esercizio di potere sostanzialmente antidemocratico perché crea barriere tra il “custode-titolare di certi saperi” e il cittadino.
La certezza del diritto passa per la sua chiarezza, questo semplice assioma è dimenticato il più delle volte con effetti esilaranti.
Il paradosso segnalato è indicativo della distanza siderale che sussiste tra il fine che dovrebbe avere la norma (chiarezza, fruibilità, applicabilità, comprensibilità e semplicità) e la sua concreta realizzazione nella pratica quotidiana.
Tale “distanza” è dovuta alle modalità di redazione delle norme, farcite da commi, incisi e subordinate e al groviglio legislativo determinato da una sovrapproduzione di leggi e regolamenti.
La normativa penale sull’ambiente e quella penale comunitaria sono esempi inarrivabili di “abuso di sigle e di rinvii”.
Prendiamo ad esempio, l’art. 137, 1, 2, 3 “Sanzioni penali” del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (T.U. ambientale): “1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29 quattuordecies, comma 1, chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l’arresto da due mesi a due anni o con l’ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro [318 bis e ss., 129 att. c.p.p.].
2. Quando le condotte descritte al comma 1 riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è l’arresto da tre mesi a tre anni e dell’ammenda da 5.000 euro a 52.000 euro [318 bis e ss., 129 att. c.p.p.].
3. Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, o di cui all’articolo 29 quattuordecies, comma 3, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/a dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l’arresto fino a due anni [318 bis e ss., 129 att. c.p.p.].”
Per dirla con le parole di Vittorio Scialoja: “Un’idea non può essere giuridica se non quando sia chiara, perché il diritto è arte di tracciare limiti e non esiste se non quando sia chiaro”.
Ricordiamo che la chiarezza significa comprensibilità come ricorda anche la Corte Costituzionale che con la sentenza (n. 364 del 23 marzo 1988) ammette che il cittadino possa ignorare la legge se formulata in modo incomprensibile.
La sentenza merita di essere letta per intero e pur con tutti i limiti al tema del presente breve scritto si riporta uno stralcio della stessa: “… a questo proposito, sottolineato che non è stato sufficientemente posto l’accento sulla diversità di due accezioni del termine colpevolezza.
La prima, tradizionale, fa riferimento ai requisiti subiettivi della fattispecie penalmente rilevante (ed eventualmente anche alla valutazione di tali requisiti ed alla rimproverabilità del soggetto agente); la seconda, fuori dalla sistematica degli elementi del reato, denota il principio costituzionale, garantista (relativo alla personalità dell’illecito penale, ai presupposti della responsabilità penale personale ecc.) in base al quale si pone un limite alla discrezionalità del legislatore ordinario nell’incriminazione dei fatti penalmente sanzionabili, nel senso che vengono costituzionalmente indicati i necessari requisiti subiettivi minimi d’imputazione senza la previsione dei quali il fatto non può legittimamente essere sottoposto a pena.
Qui si userà il termine colpevolezza soprattutto in quest’ultima accezione mentre lo stesso termine, all’infuori della prospettiva costituzionale (nell’impossibilità di ritenere “costituzionalizzata”, come si preciserà fra breve, una delle tante concezioni della colpevolezza proposte dalla dottrina) verrà riferito al vigente sistema ordinario di cui agli artt. 42, 43, 47, 59 ecc. c.p.: questo sistema verrà, infatti, posto in raffronto con l’art. 27, primo e terzo comma e con i fondamentali principi dell’intera Costituzione, al fine di chiarire come l’art. 5 c.p., incidendo negativamente sul sistema ordinario della colpevolezza (attraverso l’esclusione d’ogni rilievo della conoscenza della legge penale) fa sì che lo stesso sistema non si riveli adeguato alle direttive costituzionali in tema di requisiti subiettivi minimi d’imputazione.
Va, a questo punto, precisato, per quanto, forse, superfluo, che la colpevolezza costituzionalmente richiesta, come avvertito dalla più recente dottrina penalistica, non costituisce elemento tale da poter esser, a discrezione del legislatore, condizionato, scambiato, sostituito con altri o paradossalmente eliminato. Limpidamente testimonia ciò la stessa recente, particolare accentuazione della funzione di garanzia (limite al potere statale di punire) che le moderne concezioni sulla pena attribuiscono alla colpevolezza.
Sia nella concezione che considera quest’ultima “fondamento”, titolo giustificativo dell’intervento punitivo dello Stato sia nella concezione che ne accentua particolarmente la sua funzione di limite allo stesso intervento (garanzia del singolo e del funzionamento del sistema) inalterato permane il “valore” della colpevolezza, la sua insostituibilità.
Per precisare ancor meglio l’indispensabilità della colpevolezza quale attuazione, nel sistema ordinario, delle direttive contenute nel sistema costituzionale vale ricordare non solo che tal sistema pone al vertice della scala dei valori la persona umana (che non può, dunque, neppure a fini di prevenzione generale, essere strumentalizzata) ma anche che lo stesso sistema, allo scopo d’attuare compiutamente la funzione di garanzia assolta dal principio di legalità, ritiene indispensabile fondare la responsabilità penale su “congrui” elementi subiettivi.
La strutturale “ambiguità” della tecnica penalistica conduce il diritto penale ad essere insieme titolo idoneo d’intervento contro la criminalità e garanzia dei c.d. destinatari della legge penale.
Nelle prescrizioni tassative del codice il soggetto deve poter trovare, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato: ed a questo fine sono necessarie leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento.
Il principio di colpevolezza è, pertanto, indispensabile, appunto anche per garantire al privato la certezza di libere scelte d’azione: per garantirgli, cioè, che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili e mai per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze penalmente vietate; e, comunque, mai per comportamenti realizzati nella “non colpevole” e, pertanto, inevitabile ignoranza del precetto”.
Concludiamo la riflessione con un pensiero di Louis Brandeis (avvocato e giurista statunitense, componente della Corte Suprema): “Se vogliamo che la legge venga rispettata, per prima cosa dobbiamo fare leggi rispettabili”.
