Giudizio di appello e riforma sentenza assolutoria su prova dichiarativa: le parti possono rinunciare alla rinnovazione delle prove dichiarative? (di Riccardo Radi)

La cassazione è tornata ad occuparsi dell’obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in caso di riforma della sentenza assolutoria anche in caso di consenso della difesa all’utilizzo della dichiarazione resa nel precedente giudizio.

La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 16286/2023 pur consapevole dell’esistenza di orientamenti difformi ha stabilito che il giudice di appello che riforma la sentenza assolutoria, diversamente valutando la deposizione di un testimone, non è tenuto a procedere alla nuova audizione dello stesso, nel caso in cui le parti, dopo che sia stata disposta la rinnovazione della prova dichiarativa, vi abbiano concordemente rinunciato, prestando il consenso all’utilizzazione delle dichiarazioni rese nel precedente grado di giudizio.

Il precedente difforme della cassazione sezione 6 numero 18530/2020 aveva sottolineato che in tema di giudizio d’appello, la riforma di una sentenza assolutoria emessa all’esito di giudizio abbreviato che affermi la responsabilità dell’imputato sulla base di una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, richiede la rinnovazione delle stesse pur se le parti abbiano concordemente rinunciato alla loro assunzione.

In motivazione la Corte ha spiegato che non rientra nei poteri dispositivi delle parti processuali la deroga al cd. metodo dialettico basato sul contraddittorio quando la prova da rinnovare abbia “ab origine” natura dichiarativa.

Nel caso esaminato dalla cassazione sezione 5 sentenza numero 16286/2023 il Tribunale, pur avendo integralmente riformato la sentenza di assoluzione pronunciata dal Giudice di pace nei confronti del ricorrente, sulla base di un diverso apprezzamento delle prove dichiarative in primo grado assunte, non ha proceduto alla loro rinnovazione, come invece sarebbe stato necessario ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., la cui applicazione vale anche nel caso in cui il giudice di appello riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, Rv. 281228), perché i difensori delle parti private e il Pubblico Ministero avevano espressamente acconsentito affinché si procedesse alla decisione sulle impugnazioni mediante lettura dei verbali degli atti istruttori di primo grado, senza procedere a rinnovazione.

Fatta la premessa la Cassazione è chiamata a porsi d’ufficio il problema della compatibilità con il canone di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. e con il principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), CEDU della sentenza che abbia ribaltato il verdetto assolutorio in primo grado pronunciato nei confronti del ricorrente senza che il giudice di appello abbia proceduto alla rinnovazione delle prove dichiarative diversamente valutate, sempre che l’interessato abbia impugnato la decisione censurandone la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Rv. 267492), come nel caso di specie avvenuto.

Va segnalato, al riguardo, che, in seno alla giurisprudenza di legittimità, in ordine alla questione se, nell’ipotesi descritta, le parti possano o meno rinunciare alla rinnovazione delle prove dichiarative ritenute decisive, si fronteggiano due orientamenti interpretativi.

Secondo un primo orientamento, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello ex art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. va disposta d’ufficio, anche in difetto di una corrispondente richiesta in tal senso avanzata dalla parte interessata, in considerazione dell’assoluta necessità probatoria, implicita nell’impossibilità stabilita ex lege di un ribaltamento dell’esito del giudizio di primo grado se non a seguito di rinnovazione delle prove dichiarative che in quel giudizio avevano determinato, o contribuito a determinare, l’assoluzione dell’imputato; conseguentemente, proprio perché la regola processuale posta dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. configura una 2 garanzia fondamentale dell’ordinamento, la cui violazione qualifica la sentenza come emessa al di fuori dei casi consentiti dalla legge – tanto da essere rilevabile di ufficio nel giudizio per cassazione, ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 14062 del 16/03/2021, Rv. 281661).

La riforma di una sentenza assolutoria che affermi la responsabilità dell’imputato sulla base di una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive richiede la rinnovazione delle stesse pur se le parti abbiano concordemente rinunciato alla loro assunzione, posto che non rientra nei poteri dispositivi delle parti processuali la deroga al metodo dialettico basato sul contraddittorio quando la prova da rinnovare abbia “ab origine” natura dichiarativa (Sez. 6, n. 18530 del 13/11/2019, dep. 2020, Rv. 279303).

Altro orientamento ritiene, invece, che non sussiste l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale qualora le parti abbiano concordemente rinunziato alla rinnovazione dinanzi al giudice di appello (Sez. 5, n. 2493 del 16/12/2019, dep. 2020, Rv. 278294).

A ragione di tale presa di posizione ermeneutica sono state richiamate le Sezioni Unite Pavan (sentenza n. 14426 del 28/01/2019), che hanno affermato che l’omessa rinnovazione della prova acquisita in forma dichiarativa da parte del giudice di appello che proceda, sulla base di un diverso apprezzamento della stessa, nella vigenza dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., alla riforma della sentenza di assoluzione, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio (ex art. 180 cod. proc. pen.) della sentenza, denunciabile, in sede di legittimità, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.: ciò comporta, da un lato, che non sarebbe legittimato a dolersi della predetta nullità il soggetto processuale che, con la sua rinunzia, abbia contribuito a darvi causa, dimostrando altresì di non avere interesse all’osservanza della disposizione violata (cfr. art. 182, comma 1, cod. proc. pen.); dall’altro, che il vizio non sarebbe rilevabile di ufficio in Cassazione (in tal senso, anche Sez. 2, n. 8327 del 24/11/2021, dep. 2022, non massimata sul punto).

Tale metodo di acquisizione ed utilizzazione della prova, ad avviso del diritto vivente, trova copertura costituzionale nell’art. 111, comma 5, Cost. e copertura convenzionale nella giurisprudenza di Strasburgo, secondo la quale la parte può rinunciare «al diritto fondamentale del contraddittorio (Corte EDU, 26/04/2007, Vozhigov c. Russia § 57), ove la rinuncia (espressa o implicita purché “inequivoca”: Corte EDU Gr. Ch. 17/09/2009, Scoppola c. Italia § 135) sia volontaria e consapevole e cioè ove la parte sia stata adeguatamente informata sugli effetti giuridici derivanti dall’atto abdicativo (Corte EDU, 3 24/04/2012, Sibgatullin c. Russia § 48), e questo non si ponga in contrasto con un “interesse pubblico” (Corte EDU Scoppola c. Italia; Corte EDU Kashlev c. Estonia, 26/04/2016; Corte EDU, 26/09/2017 Fornataro c. Italia; Corte EDU 23/11/1993, Poitrimol c. Francia § 35)»; donde, è stato escluso il contrasto con le Sezioni Unite Patalano (sentenza n. 18620 del 19/01/2017, Rv. 269785), che aveva sancito l’obbligo di rinnovazione anche in caso di giudizio di primo grado definito con le forme del rito abbreviato.

Si è concluso, pertanto, che, se nulla osta ad una rinunzia della parte all’acquisizione orale della formazione della prova in primo grado, a fortiori non vi sono motivi cogenti, ossia disposizioni specifiche al riguardo, che impediscano di attribuire rilievo legittimante in tal senso ad un accordo raggiunto in sede di gravame, considerata oltretutto la generale applicabilità delle regole del giudizio di primo grado al giudizio di appello.

Pertanto, la cassazione in questo caso reputa di dover prestare convinta adesione al secondo dei divisamenti illustrati, facendo proprie le argomentazioni svolte a sostegno ed aggiungendo soltanto che le dianzi citate Sezioni Unite Crennonini, richiamando quanto già opinato da Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430 – 01, hanno implicitamente ritenuto rinunciabile la rinnovazione delle prove dichiarative in appello, evocando le sentenze della Corte costituzionale n. 217 del 2009 e n. 168 del 2006, secondo le quali “il principio costituzionale del contraddittorio non rappresenta una “risorsa” dispensata alle parti allo stesso modo e con la stessa intensità, prevedendo, infatti, il comma 5 dell’art. 111 Cost. il consenso dell’imputato, per la perdita di contraddittorio nei casi consentiti, poiché nasce e si sviluppa, lo stesso, come garanzia in favore dell’imputato”.

Peraltro, la Corte di Strasburgo, con la sentenza dell’8 luglio 2021, Maestri e altri contro Italia, ha ribadito i principi affermati dalla propria giurisprudenza, ossia che:

a) quando la corte d’appello deve esaminare una fattispecie in fatto e in diritto ed effettuare una valutazione complessiva della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, non può pronunciarsi su tale materia, a pena di iniquità del processo, senza valutare direttamente gli elementi di prova presentati personalmente dall’imputato che intenda dimostrare di non aver commesso l’illecito penale;

b) siffatta conclusione presenta una stretta correlazione con il diritto dell’imputato di essere ascoltato dal tribunale che deve pronunciarsi sulla sua colpevolezza;

c) con riferimento alla diretta assunzione delle prove da parte del giudice di secondo grado che intenda riformare una pronuncia assolutoria, occorre distinguere il caso in cui una corte d’appello abbia effettivamente svolto una nuova valutazione dei fatti e le situazioni in cui la corte d’appello abbia dissentito dal primo giudice solo sull’interpretazione di una questione di diritto e/o sulla sua applicazione a fatti già accertati (sentenza 16 luglio 2019, Júlíus Pór SigurPérsson c. Islanda);

d) quando la valutazione diretta delle dichiarazioni dell’imputato è necessaria alla luce dei principi sopra richiamati, la corte d’appello è tenuta ad assumere iniziative positive a tal fine, anche se l’imputato non è comparso, non ha chiesto di rendere dichiarazioni e non si è opposto, per il tramite del suo difensore, a che l’autorità giudiziaria decidesse la questione nel merito;

e) un ricorrente non può lamentare la violazione del suo diritto a un processo equo se ha espressamente e inequivocabilmente rinunciato al suo diritto di essere ascoltato dalla corte d’appello, a condizione che abbia avuto la possibilità di presentare tutte le sue argomentazioni difensive (sentenza 1° dicembre 2020, Lamatic c. Romania); f) la volontaria rinuncia, espressa o tacita, alle garanzie di un processo equo, è certamente ammissibile.