Nella sezione “Itinerari a tema” del sito web istituzionale del Ministero della Giustizia è inclusa la voce “Monitoraggi giustizia civile e penale” (a questo link).
L’ultimo suo aggiornamento risale al 26 aprile 2023.
Vi si legge quanto segue:
“Il Monitoraggio nazionale, elaborato trimestralmente, sull’andamento dei procedimenti pendenti civili e penali e dell’arretrato civile evidenzia per il terzo trimestre 2022 un miglioramento rispetto alla fine del 2021.
Sebbene i due dati non siano immediatamente confrontabili, qui si considera il totale dei procedimenti pendenti dinanzi a tutti gli uffici giudiziari italiani, la tendenza osservata è coerente con quella rilevata in ambito PNRR.
Rispetto alla fine del 2021, le pendenze totali nel settore civile si riducono del 5,2%, portandosi, per la prima volta dal 2003, al di sotto dei 3 milioni; nello stesso periodo, l’arretrato civile è diminuito del 4,5% in Corte di Cassazione, del 15,9% in Corte di appello e del 2,8% in Tribunale.
Nel settore penale la riduzione delle pendenze è del 9,7%; del 5,5% se si escludono i procedimenti dinanzi al giudice di pace, riportando i valori assoluti su livelli non dissimili da quelli del 2005”.
Sono numeri positivi che testimoniano una confortante tendenza alla progressiva riduzione dell’arretrato che ingolfa storicamente la giustizia italiana (considerata dal CEPEJ tra le più lente d’Europa).
Sono numeri che consentono al nostro Paese di rispettare gli impegni assunti nella sede euro-unitaria quali condizioni per ricevere la quota parte (circa 2,6 miliardi di euro) dei fondi del PNRR per la giustizia (a questo link per maggiori approfondimenti).
Al compiacimento per questa storia di successo segue tuttavia una domanda ed è quella sulle ragioni che la stanno consentendo dopo lunghi anni bui.
È chiaro che le grandi riforme della giustizia civile e penale varate dalla Ministra Cartabia non possono avere influenzato i risultati di cui si parla, posto che sono stati ottenuti ben prima della sua entrata in vigore.
È altrettanto chiaro, limitandosi alla giustizia penale, che non vi è stata alcuna diminuzione dell’imponente Moloch delle fattispecie incriminatrici (alcune stime parlano di oltre 7.000 reati), semmai ne sono state aggiunte di nuove, sicché la vasta depenalizzazione di cui quasi tutti riconoscono l’imprescindibilità rimane al momento allo stadio di chimera, come tale priva di peso ai fini della riduzione dell’arretrato.
Non risultano, del pari, cambiamenti giurisprudenziali che possano avere esercitato una qualche influenza in senso deflattivo.
Ed allora l’unico fattore credibile non può che essere individuato nel potenziamento dei ranghi amministrativi dell’amministrazione della giustizia e nella progressiva immissione in servizio degli addetti all’ufficio per il processo: finalmente forze nuove e qualificate in grado di fare la differenza.
Questa semplice constatazione pone un’ulteriore domanda ed è quella fondamentale: cosa serve davvero alla giustizia italiana per cambiare passo ed essere più rapida e qualificata?
Servono molte cose, in realtà.
Certamente servono persone giovani, al passo con i tempi, detentrici del sapere giuridico e del sapere tecnologico al servizio di quello giuridico.
Serve altrettanto una cultura organizzativa che permei di sé non solo i ranghi amministrativi ma anche quelli giudiziari.
Bisogna quindi che le nomine alle cariche direttive e semidirettive della magistratura, fin qui raramente attente ai talenti organizzativi dei candidati, li assumano come parametro prioritario e bisogna pure che le valutazioni per le progressioni in carriera dei magistrati non si limitino al compiacimento per la “bella sentenza” o la stupefacente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale o per “i modi garbati” ma scrutino col massimo approfondimento la capacità di gestire ruoli e funzioni senza ritardi e sbavature.
Perché altrimenti si dovrà dire che l’ufficio del processo e i giuristi che gli stanno dando anima e corpo stanno funzionando e producendo risultati non in virtù di un disegno organizzativo che li accoglie e valorizza ma a dispetto della sua assenza.
