Si segnala un’interessante sentenza del Consiglio Nazionale Forense pubblicata il 6 aprile 2023 per il principio espresso in ordine alla necessità di garantire il contraddittorio nel procedimento disciplinare.
Nel procedimento disciplinare deve essere garantita la possibilità di interrogare la persona che ha presentato l’esposto o la segnalazione nei confronti dell’avvocato.
Ai sensi dell’art. 23 del Regolamento CNF 2/2014, che ripete il principio della norma primaria dell’art. 59, comma 6, L. n. 247/2012, sono utilizzabili gli esposti e le segnalazioni inerenti alla notizia di illecito disciplinare esclusivamente nel caso in cui la persona dalla quale provengono sia stata citata come teste per il dibattimento.
Nel caso esaminato la difesa rilevava che la sanzione disciplinare per un capo di imputazione era stata emessa solo sugli esposti e/o segnalazioni non confermati in dibattimento, e quindi non utilizzabili.
Decisione del CNF
Ritiene questo Collegio, quale Giudice del merito a piena cognizione, che la censura sia fondata.
Va osservato, intanto, come ampio sia il potere discrezionale del Giudice della deontologia nel valutare le prove in virtù del principio del libero convincimento, e come alcuna nullità derivi dalla mancata o rinunziata escussione dei testi indicati – che, peraltro, l’incolpato stesso avrebbe potuto indicare a discolpa ed escutere – ove sussistano elementi sufficienti agli atti a determinare l’accertamento completo dei fatti.
Tuttavia, nel caso oggetto di scrutinio, emerge la violazione dell’art. 23 del Regolamento CNF 2/2014, che ripete il principio della norma primaria dell’art. 59, comma 6. L. n. 247/2012, secondo cui sono utilizzabili gli esposti e le segnalazioni inerenti alla notizia di illecito disciplinare esclusivamente nel caso in cui la persona dalla quale provengono sia stata citata come teste per il dibattimento.
Né vale, in contrario, il riferimento, contenuto nella decisione appellata, alla disamina della documentazione in atti, in quanto trattasi di quella stessa allegata all’esposto, e non diversa od altra, inidonea comunque a contribuire al pieno accertamento dei fatti, in quanto non formatasi né confermata nel corso del procedimento.
In definitiva, la decisione appare fondata solo sulla segnalazione dell’esponente e non emerge con certezza la non veridicità della diversa rappresentazione fornita dall’incolpato, tanto più che neppure chiara appare la natura e l’oggetto specifico dell’incarico conferito: non è chiaro, infatti, neppure se si trattava di una consulenza o di un incarico giudiziale.
Si vedano in tal senso CNF sentenza n. 103 del 12 settembre 2018., ed ancora CNF sentenza n. 129 del 17 luglio 2020, secondo cui “in ottemperanza ai più elementi principi che governano, sia nel procedimento civile che in quello penale, la ricerca della prova dei fatti dedotti nel procedimento, la sola accusa formulata dall’esponente, non suffragata, poi, da congrua documentazione e/o da dichiarazioni testimoniali rese da terzi disinteressati, è da ritenersi insufficiente al fine di comprovare la responsabilità dell’incolpato, anche se quest’ultimo nulla ha fatto per difendersi dalle accuse.
Le accuse, infatti, vanno provate, non solo formalizzate, sulla scorta di una doglianza di parte”.
Per tale ragione, il ricorrente, in mancanza di piena prova, va assolto per il principio del favor rei in ordine al capo a).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Greco, rel. Iacona), sentenza n. 213 dell’11 novembre 2022
