Giudice pedagogo: la sentenza che dispose l’acquisto di libri e film sul pensiero delle donne (di Riccardo Radi)

La decisione del Gup di Roma che dispose il risarcimento alla parte civile in libri e film sulla condizione femminile invece che in denaro, avrà sortito il suo effetto?

Il giudice moralizzatore aleggia nelle aule e spesso nelle procure sparse nella Penisola.

Sono trascorsi circa sette anni dalla sentenza del Gup di Roma, che al termine del processo contro uno dei clienti delle ragazze adolescenti che si prostituivano al quartiere Parioli di Roma, ha accompagnato alla pena di anni 2 di reclusione un risarcimento che, al posto dei ventimila euro richiesti dalla parte civile, è stato stabilito in una robusta “iniezione” di letteratura e cinema.

La sentenza fece discutere perché in qualche modo stigmatizzava sia la condotta dell’imputato e sia la mancata presa di coscienza della mercificazione del proprio corpo da parte dell’adolescente e poneva la questione del rischio della vittimizzazione secondaria nel caso della monetizzazione del risarcimento.

A distanza di anni dalla decisione, il messaggio del giudice pedagogo avrà sortito gli effetti desiderati?

In particolare, la presa di coscienza di entrambe le parti e il fine rieducativo che accompagnava la componente afflittiva per l’imputato è rimasta un “auspicio simbolico”?

Questi interrogativi sono dettati dalla lettura della motivazione della sentenza.

Il giudice assurge ad un ruolo di moralizzatore dei costumi e delle virtù delle persone.

La giudice ha ritenuto di “offrire” una robusta “iniezione di letteratura” all’adolescente che mercificava il suo corpo e nelle motivazioni si sottolinea “la fragilità adolescenziale e la deprivazione culturale e sociale del contesto in cui ha vissuto“.

Scrive il Giudice: “Si offre alla vittima vulnerabile di un reato tanto grave, non certo un inammissibile indottrinamento, ma solo uno strumento finalizzato ad un processo di acquisizione di consapevolezza, che pone al vertice la sua dignità umana.  L. potrà o meno cogliere ed accogliere questa offerta, sentendosi a pieno titolo parte di quella ricchezza culturale che le sue madri intellettuali le hanno regalato, così aprendo la propria vita ad un’esperienza di libertà consapevole che solo la conoscenza le può permettere“.

Seguiamo il ragionamento del giudice in ordine alla decisione sulla richiesta risarcitoria, pubblicando un ampio estratto delle motivazioni della sentenza debitamente anonimizzate da ogni riferimento dei protagonisti:

Circa la quantificazione del danno non patrimoniale in forma specifica e alle modalità di  liquidazione dello stesso, giova osservare come, da ultimo, la Cassazione civile con la  sentenza della Sez. 3, n. 3260 del 19/02/2016 abbia stabilito che ai fini della  quantificazione equitativa del danno non patrimoniale, il giudice deve accertare, con  metodo presuntivo, il pregiudizio morale subito, attraverso l’individuazione delle  ripercussioni negative sul valore della persona tenendo conto dei fatti dai quali emerge la  sofferenza morale di chi ne chiede il ristoro. Il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata della domanda risarcitoria sottoposta alla sua cognizione, deve avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura della vicenda dedotta e rappresentata dalla parte istante (Cass. Ci., Sez. 3, Sentenza n. 21087del 19/10/2015 – Rv.  Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.

Allorché, come nella specie, l’equivalente in denaro non risponde alla completa compensazione del danno subito dalla vittima e alla sua sofferenza morale, esso non può essere liquidato dalla giudice in questa forma ma in forma specifica e, giova ribadirlo, anche in considerazione dell’assoluta genericità della pretesa avanzata dalla parte civile in questa sede.  Nel caso in esame è proprio la peculiarità del danno cagionato alla persona offesa da parte dell’imputato, che ha sfruttato la fragilità adolescenziale e la deprivazione culturale e sociale del contesto in cui ha vissuto L., ad escludere che la mera corresponsione di una somma di denaro, come richiesta, sia in grado di perseguire la finalità risarcitoria imposta dall’applicazione dell’art. 185 cip.

Come emerso dagli atti, Laura non si è prostituita a soli 14/15 anni per fare fronte ad impellenti esigenze economiche o per ragioni di bisogno, né risulta dagli atti, o da indicazioni su questo punto fornite dalla difesa della parte civile, che oggi si trovi in una condizione di difficoltà patrimoniale.

L’unico elemento di cui si è certi nel presente processo è che la vittima frequentava una scuola pubblica del centro di Roma ed il denaro, come da lei stessa espresso in modo molto semplice ed autentico, le serviva “…perché volevamo troppo, mia madre i soldi me li dava ma non tanti quanti ne volevo…. Cioè è difficile per me pensare che devo andare in giro con i mezzi pubblici”.

Quindi, a prescindere dalla riconosciuta aspirazione di chiunque di guadagnare il proprio denaro (lecitamente) per acquistare (lecitamente) ciò che desidera, senza che ciò consenta di emettere alcun giudizio di valore, in questa sede spetta alla giudice orientarsi, secondo il tipo di danno subito dalla minorenne, per individuare la forma di liquidazione più corretta e conforme ai principi costituzionali di dignità e solidarietà sanciti dagli artt. 2 e 3 della Costituzione.

Il valore del bene violato dal fatto illecito, cioè la dignità e la libertà individuale della  vittima, nel caso di specie, proprio alla luce delle parole chiare, in più riprese ribadite da  L., di avere avuto come principale parametro valoriale ed unità di misura il denaro,  strumento necessario per comprare qualsiasi cosa non necessaria, per il quale è stata  disposta anche a distruggere la propria adolescenza (“a me sti anni non me li ridarà mai più nessuno”) non è monetizzabile da parte dell’Autorità giudiziaria se non con il rischio di  aggravare e procrastinare, paradossalmente proprio attraverso lo strumento risarcitorio  che ha finalità compensative della vittima, le conseguenze stesse del reato commesso  dall’imputato.  Ciò, giova ripeterlo, sulla base delle prove utilizzabili da questa giudice e dalla mancata diversa allegazione da parte della difesa della minorenne.

Poiché però, per quanto sopra detto, al giudice è consentito provvedere d’ufficio alla personalizzazione, secondo criteri equitativi, del risarcimento del danno non patrimoniale, anche con la reintegrazione in forma specifica, si ritiene che questa deve consistere nella pretesa che il danneggiante provveda al ripristino, nei limiti consentiti dal caso concreto, della situazione antecedente al reato.

LA SCELTA DELLA MODALITÀ RISARCITORIA ALLA LUCE DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI E SOVRANAZIONALI

Per pervenire a detta decisione si è ritenuto doveroso interpretare le norme in materia proprio a partire dai principi costituzionali e dal presupposto assiologico dei diritti fondamentali e della tutela dei diritti inviolabili della persona costituito dalla dignità della persona.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 293 del 2000, ha affermato, infatti, che “quello della dignità della persona umana è valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo”; da intendersi non in astratto, ma come persona concreta, quale essa è e non quale dovrebbe essere secondo punti di vista religiosi, filosofici o ideologici. 

La dignità implica che l’identità specifica di ciascun individuo venga considerata – come è scritto testualmente nella sentenza n. 13 del 1994 della Corte costituzionale– “un bene in sé medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata”.  La dignità non appartiene a chi la merita, secondo criteri di valutazione assunti dalle leggi dello Stato o risultanti dalla cultura dominante o dal comune sentire, ma a tutte le persone, qualunque sia o sia stato il loro comportamento. 

Come scritto da autorevole dottrina, essa non è soltanto una “dote” dell’essere umano, ma si identifica con la persona, per il semplice motivo che un individuo privato della sua dignità soffre della negazione di sé stesso. Se nel nostro ordinamento la dignità permea di sé ogni norma costituzionale e ordinaria, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è l’articolo 1 a sancire l’inviolabilità della dignità umana, così confermando anche a livello sovranazionale il suo valore che deve costituire il fondamento di ogni atto interpretativo dei giudici dell’Unione.  Detti principi pongono al centro la tutela e l’individuazione, da parte della giudice, nel caso specifico, delle più opportune forme risarcitorie, avendo di vista la dignità violata della vittima da parte dell’imputato, e trovano ulteriore conferma nell’art. 31 comma 2 della Costituzione secondo cui la Repubblica protegge “l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.  In conclusione, dunque, la lettura dei principi costituzionali e sovranazionali citati non può che imporre un’interpretazione dell’art. 2058 cc che non aggravi la posizione della vittima, come avverrebbe con un risarcimento per equivalente, ma le restituisca la dignità violata dall’illecito.  Da ciò consegue che una lettura economicistica della dignità della persona verrebbe a trasformarsi nel suo contrario, specie allorché, come nel caso in esame, il contenuto stesso dell’illecito penale, rappresentato dal reato di prostituzione minorile, è costituito dalla monetizzazione della vittima minorenne da parte dell’imputato.

SCELTA DELLA MODALITÀ RISARCITORIA ALLA LUCE DEI PRINCIPI DELLA DIRETTIVA SULLE VITTIME

Accanto alle fonti indicate, il panorama europeo è stato ulteriormente arricchito dalla direttiva sulle vittime9 che impone ai giudici interni una particolare attenzione alle vittime    9 Direttiva 2012/29/Ue del Parlamento Europeo E Del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI e oggi recepita nel nostro ordinamento con la legge. 46 minorenni poiché, per la loro età, “tendono a presentare un elevato tasso di vittimizzazione secondaria e ripetuta”. 

Si ritiene opportuno richiamare il considerando n. 9 della direttiva, da solo capace di descrivere la ratio della fonte in esame, secondo il quale: “Un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime.  Come tali, le vittime di reato dovrebbero essere riconosciute e trattate in maniera rispettosa, sensibile  e professionale, senza discriminazioni di sorta fondate su motivi quali razza, colore della pelle, origine  etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche  o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità,  età, genere, espressione di genere, identità di genere, orientamento sessuale, status in materia di  soggiorno o salute. In tutti i contatti con un’autorità competente operante nell’ambito di un procedimento penale e con qualsiasi servizio che entri in contatto con le vittime, quali i servizi di assistenza alle vittime o di giustizia riparativa, si dovrebbe tenere conto della situazione personale delle vittime e delle loro necessità immediate, dell’età, del genere, di eventuali disabilità e della maturità delle vittime di reato, rispettandone pienamente l’integrità fisica, psichica e morale.

Le vittime di reato dovrebbero essere protette dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, dall’intimidazione e dalle ritorsioni, dovrebbero ricevere adeguata assistenza per facilitarne il recupero e dovrebbe essere garantito loro un adeguato accesso alla giustizia.”.

Laura, per come risulta dagli atti presenti nel fascicolo processuale e sopra riportati, è  un’adolescente a rischio di “vittimizzazione secondaria” proprio perché particolarmente  vulnerabile, priva di strumenti culturali e di sostegni familiari; con un vissuto segnato da  un’esperienza prostitutiva non occasionale, ma consistita in una vera e propria attività  lavorativa con decine e decine di clienti che l’hanno scelta essenzialmente per la sua minore  età; con un livello di autostima talmente basso da farle ritenere di non avere altro genere  di futuro (vedi §1.1.4 lett. a); con un contesto valoriale fondato esclusivamente sul denaro  e sul suo potere incoercibile.

Un risarcimento liquidato in termini (esclusivamente o principalmente) economici, come  chiesto dalla parte civile ed in mancanza di qualsiasi allegazione sul punto, contrasterebbe  con l’obbligo dell’Autorità giudiziaria di impedire la vittimizzazione secondaria perché  accrescerebbe e confermerebbe in Laura la convinzione che, anche per lo Stato, il suo valore  non è la sua unicità e dignità di persona, in quanto tale non monetizzabile e non  compensabile, ma è, ancora una volta, un valore quantificabile ed indennizzabile solo  attraverso il denaro cioè lo strumento attraverso il quale l’imputato l’ha resa una merce,  negandole il riconoscimento di essere una persona unica e irripetibile. 

Nella determinazione di un obbligo risarcitorio in capo all’imputato a favore della vittima del reato l’Autorità giudiziaria deve tenere conto, ai sensi dell’art. 16 della citata direttiva 2012/2009, che l’interesse della minore va sempre considerato preminente e garantito, dentro e fuori del processo, anche attraverso forme di “giustizia riparativa”. È, quindi, anche in questa logica interpretativa, volta ad evitare contraddizioni tra la statuizione penale – che non può che essere sanzionatoria in chiave rieducativa dell’imputato ai sensi dell’art. 27 della Costituzione – e la statuizione civile risarcitoria, che a livello europeo ormai si pone in una ottica riparativa, che, nel caso di specie, la giudice non può risarcire il danno per equivalente.  Come può il denaro proveniente da Tizio, sotto il profilo della stretta logica, agli occhi dei protagonisti della vicenda, essere da un lato elemento costituivo della fattispecie penale (il prezzo della prestazione sessuale) e dall’altro rappresentare, per quella stessa condotta, risarcimento del danno? Per evitare questa evidente discrasia, al cui centro è il denaro come misura di tutte le cose, si ritiene che soccorra solo un criterio equitativo tale da risarcire il grave pregiudizio patito da una vittima vulnerabile, in una forma che non la pregiudichi e che non la vittimizzi per la seconda volta, ovverosia ai sensi dell’art. 2058 cc attraverso un obbligo di facere dell’imputato consistente nell’acquisto di ben individuati libri e film. 

È opportuno sottolineare che la lettura proposta, che come scritto, trova riscontro anche  nella giurisprudenza della Corte di Cassazione oltre che della dottrina, e che nasce  dall’applicazione di norme costituzionali e dell’Unione Europea, consente di superare la  necessità di richieste risarcitorie dal contenuto meramente simbolico, ben conosciute dal  nostro ordinamento e studiate anche dalla dottrina, sotto il profilo della loro ammissibilità,  come avvenuto, ad esempio nel noto processo per stupro celebrato a Latina. In detto  processo la vittima, attraverso la sua avvocata, si costituì parte civile richiedendo il  risarcimento del danno nella misura di una lira, proprio al fine di sottolineare che il reato commesso aveva avuto degli effetti tanto devastanti sulla persona offesa da essere  irrisarcibile, non quantificabile, non monetizzabile da parte di coloro che l’avevano  violentata e per evitare, anche solo simbolicamente, che attraverso una diversa pretesa  risarcitoria il denaro diventasse per gli stessi imputati misura della sua dignità di persona. 

È evidente, dunque, che le motivazioni addotte, all’epoca, per il risarcimento in forma simbolica sono quelle che oggi, alla luce degli avanzamenti giurisprudenziali offerti anche dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, oltre che dalle disposizioni dell’Unione Europea, consentono un risarcimento in forma specifica dotato della effettività che la vittima di un reato merita di ottenere.

L’EFFETTO (INDIRETTO) DEL RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA SULL’AUTORE DEL REATO

Per mera completezza va sottolineata l’idoneità della reintegrazione in forma specifica anche rispetto all’autore del reato.  Il risarcimento a favore della vittima, sotto forma di somma di denaro, comporterebbe, paradossalmente, che l’imputato continuerebbe a reiterare, pagando, la stessa modalità di relazione proprietaria stabilita con Laura e fondata, ancora una volta, sulla sua monetizzazione, ciò, peraltro, in assenza, come più volte ricordato, di mancate allegazioni da parte della difesa della vittima su profili patrimoniali. 

Invece la reintegrazione in forma specifica, consistente – come si scriverà di seguito – nell’obbligo di facere dell’acquisto di determinati libri, scritti in gran parte da donne, e che costituiscono patrimonio dell’intera comunità umana, evita il rischio ora ricordato. 

La mera applicazione dei principi costituzionali e dell’Unione Europea nella materia risarcitoria e di tutela dei minori, come sopra indicati, consente che l’imputato utilizzi il denaro non per acquistare prestazioni sessuali da un’adolescente vulnerabile, ma per acquistare libri e film il cui contenuto lo costringe a confrontarsi con il reato commesso in cui l’uomo usa ed abusa del corpo delle donne in modo sopraffattivo, si serve delle minorenni come meri intrattenimenti sessuali. 

Come si vedrà oltre la scelta dei testi è avvenuta in modo tale da individuare contenuti volti a sostenere una relazione tra i generi fondata non sul rapporto di potere dell’uno sull’altro, ma sul rispetto che nasce dal riconoscimento della diversità e della dignità altrui, dal fatto che la donna non è un corpo da comprare su un sito internet senza chiederle neanche il nome. Tizio, dunque, attraverso l’acquisto dei libri, oltre a risarcire in forma specifica L. e  ad adempiere ad un obbligo giuridico imposto dalle norme, ha anche uno strumento per  prendere consapevolezza di quanto L. valga, per quello che è e per quello che  rappresenta come donna, e che la misura della ricchezza di quell’adolescente fragile,  diversamente da quello che l’imputato ha ritenuto fino ad oggi comprandone le prestazioni  sessuali, non è economica, ma è costituita dalla sua dignità che, per ciò solo, non ha un  prezzo perché è la dignità di L.

A ben vedere il risarcimento in forma specifica, che è lo strumento con cui la vittima viene risarcita senza correre il rischio di rientrare in un circuito di vittimizzazione secondaria, appare oggettivamente una modalità, apprestata dall’ordinamento, che consente all’imputato di favorire un suo processo di riflessione sulla soggettività femminile anche al fine di raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, passaggio non trascurabile per evitare che reiteri la commissione del reato. 

Attraverso l’acquisto di libri e film sul pensiero prodotto nei secoli dalle donne, Tizio viene indirettamente stimolato a comprendere come dietro ad ogni persona di genere femminile vi sia quella enorme mole di conoscenza e di storia, per millenni negata proprio da uomini che non hanno rispettato la dignità delle donne. 

LA REINTEGRAZIONE IN FORMA SPECIFICA: L’OBBLIGO PER IL DANNEGGIANTE/IMPUTATO DI ACQUISTARE LIBRI E FILM

Circa la determinazione in concreto della reintegrazione in forma specifica si ritiene di aderire all’orientamento della corte di legittimità secondo il quale vi è un sistema aperto dell’azione civile nel processo penale che consente all’autorità giudiziaria una valutazione discrezionale da adeguare alle istanze a cui si lega nel tempo la funzione del risarcimento del danno, in rapporto alle diverse tipologie di reato. 

Il giudice può, infatti, stabilire in relazione al caso concreto se debba valorizzarsi la funzione sanzionatoria della pronuncia risarcitoria ovvero quella compensativa e riparatoria e ciò indipendentemente dalla specificità della domanda. Per pervenire alla propria valutazione il giudice deve, quindi, indicare i fatti materiali tenuti in considerazione per pervenire a quella determinata decisione (Cass. Pen, Sez. 4, Sentenza n. 18099 del 2015). 

Nel caso in esame, nei limiti degli strumenti tecnico-giuridici offerti dall’ordinamento e dalla prospettazione della parte civile (e delle sue mancate allegazioni), si dispone la reintegrazione in forma specifica del danno morale soggettivo patito dalla vittima in quanto, come sopra scritto, quello per equivalente non sortirebbe l’effetto perseguito dal sistema riverberandosi, paradossalmente, nel suo contrario.  Per determinare il tipo di reintegrazione in forma specifica, idonea nel caso di specie, occorre: a) partire dalla collocazione sistematica del reato per cui è intervenuta condanna; b) individuare gli effetti concreti del commesso reato sulla vittima in relazione alla sua specifica personalità; c) fissare le modalità concrete di reintegrazione in forma specifica.

GLI EFFETTI CONCRETI DEL COMMESSO REATO SULLA VITTIMA E I TRE CONDIZIONAMENTI DA QUESTA SUBITI.

 Gli effetti concreti del commesso reato sulla vittima possono essere individuati solo avendo riguardo ai condizionamenti che questa ha subìto e che attengono a piani familiari, sociali e culturali.

a) Il condizionamento familiare Il primo vero condizionamento è il contesto familiare dell’adolescente, per come sopra  descritto, costituito da una madre che la sollecita a prostituirsi per avvantaggiarsi dei  proventi di questa attività e da un padre che l’ha lasciata sola per trasferirsi in Germania a  fare lo chef, senza versare alcunché per il suo mantenimento, pur essendo benestante, e  tacitandola nelle sue esigenze di figlia attraverso il pagamento con banconote versate  direttamente nelle sue mani, nello stesso modo di clienti come Tizio. In questo contesto, e con un fratello più piccolo affetto da una seria patologia psichiatrica, L. ha vissuto l’abbandono e l’assenza di protezione da parte dei genitori fino a sentirsi una nullità. 

b) Il condizionamento sociale Il secondo condizionamento viene dal contesto sociale cioè dalle amicizie intrecciate da L. nella cosiddetta “Roma-bene” ed incontrate in un liceo come il XXXXXX frequentato, in gran parte, da figli di professionisti ricchi ed affermati. È proprio l’amica  52 Chiara, poco più grande e a sua volta figlia di persone benestanti e di livello culturale  medio-alto, che le indica la prostituzione come la strada giusta per guadagnare facilmente e  tanto, per togliersi gli sfizi che nascono dalla visione di una luminosa vetrina o da un locale  notturno alla moda (vedi paragrafo § 1.1.1 lett. a) “ detto proprio con tutta sincerità era taxi,  vestiti, shopping, tutto quello che volevo, vestiti, tanti tanti vestiti…… Sigarette…… Andare la  sera uscire…… Si sì, borse di marca quello che io vedevo nelle vetrine dei negozi, mi piaceva  e me lo andavo a comprare, cioè senza nessun problema. Era questo il mio scopo, alla fine non c’era nessuno scopo…. Avere proprio dei soldi miei, da spendere miei e non chiedere niente a nessuno…”). I servizi sociali, attivati per seguire il nucleo familiare a causa dei problemi psichiatrici del  fratello di L. e che hanno parlato con lei solo una volta, e la scuola, che si è preoccupata  solo di comunicare alla madre della vittima le sue numerosissime ed ingiustificate assenze,  senza cercare di coglierne le ragioni effettive, sono stati strumenti istituzionali che non  hanno funzionato, come avrebbero dovuto, come luoghi di controllo, di formazione, di  ascolto, di emersione di un disagio adolescenziale profondo e ben visibile che aspettava solo  di essere colto da adulti adeguati, capaci e solo minimamente attenti.

c) Il condizionamento culturale Il terzo condizionamento è, in effetti, quello ben visibile attraverso un’attenta lettura degli atti del processo e che permea, dall’inizio alla fine, tutti i soggetti che hanno avuto un ruolo nella vicenda processuale: il contesto culturale.  L., attraverso le sue stesse parole, rese nel corso delle deposizioni e sopra riportate,  evidenzia come la sua formazione, che è alla base delle azioni intraprese e della sua estrema  vulnerabilità, sia imbevuta di trasmissioni televisive che mostrano in gran parte le donne  come vallette semisvestite piacenti e non come esseri pensanti; di spot pubblicitari che  impongono modelli consumistici in cui la bellezza, il denaro ed il successo costituiscono il  valore assoluto, mentre l’imperfezione e la fragilità sono vizi da nascondere; della visione  del corpo femminile inteso come unico strumento di affermazione sociale attraverso  l’apprezzamento degli uomini; del pregiudizio secolare rispetto alle donne che ha creato  strutture stereotipate delle quali ognuno è permeato e dalle quali è imprigionato dal  momento della nascita; delle centinaia di parolacce che esistono per definire una prostituita  53 e dell’unico termine positivo – “gigolo” – per indicare un uomo che vende le proprie  prestazioni sessuali.

A fronte di questi condizionamenti, diretti ed indiretti, che, lo si ripete, emergono dalla lettura delle dichiarazioni rese sia da L. che dalle intercettazioni telefoniche, risulta che la minore è solo una vittima fragilissima e vulnerabile, circondata dal vuoto e priva di qualsiasi cintura di sostegno scolastico, familiare, sociale e culturale.

LE MODALITÀ CONCRETE DI REINTEGRAZIONE IN FORMA SPECIFICA: L’ACQUISTO DI LIBRI E FILM DA PARTE DELL’IMPUTATO.

In considerazione della natura del reato commesso e degli effetti patiti dalla vittima non appare agevole individuare, sia pure equitativamente, la modalità con cui imporre all’imputato la reintegrazione in forma specifica della pretesa risarcitoria. Questa giudice non ignora la difficoltà ora evidenziata e l’ampiezza dell’ambito di discrezionalità consentito, stante la valutazione in via equitativa, dalla Suprema Corte. Ma è proprio la dimensione del margine ad imporre la ricerca di modalità che, sulla base di tutte le circostanze del caso concreto, desumibili dagli atti processuali che sono stati riportati con dovizia di particolari, siano in grado di orientare e indirizzare la decisione giudiziaria.

L’unica forma di garanzia, a fronte di tale ampiezza discrezionale riconosciuta alla giudice, è rappresentata dalla presente motivazione e dalla sua sostenibilità, in termini di ragionevolezza e logicità. La diffusa descrizione delle circostanze di fatto e degli effetti del commesso reato su Laura consentono di pervenire alla difficile decisione individuando l’unico strumento capace di restituire dignità e libertà, nel caso di specie: la conoscenza. 

Questa è in grado di creare idonee ed adeguate difese rispetto alle storture che hanno generato la soggezione, l’assenza di libertà, l’apparente carenza di alternative di un’adolescente romana, per come risultanti dalla lettura degli atti processuali.  Il pensiero critico e la cultura, non la colpevolizzazione o il paternalismo rispetto alla vittima, sono l’opportunità che lo strumento risarcitorio – costituito da libri e film – può offrire alla minorenne che ha subìto un reato sessuale che ha leso la sua dignità di persona e di donna, mettendo in pericolo la sua serena e consapevole crescita.

È nei libri delle donne e sulle donne che l’hanno preceduta e che hanno dovuto faticosamente guadagnare, come L., la loro libertà di scelta e la loro autonomia intellettuale, aldilà delle strade concretamente percorse, che la giovanissima potrà trovare, se lo vorrà, strumenti di conoscenza, modelli e una tra le tante opportunità per comprendere la sua storia, quella della sua città, del suo Paese e del mondo in cui vive. 

Nell’elencazione dei testi e dei film che sono stati individuati ed indicati nel dispositivo cui si rinvia, tra i milioni possibili e senza alcuna esaustività, vi sono testi di storia, di filosofia, di letteratura, di critica letteraria, di poesie, di studi, di saggi sulle radici culturali del pregiudizio nei confronti delle donne e sulla profonda influenza dei condizionamenti sociali nella formazione dell’identità femminile e delle sue successive scelte.

Attraverso libri e film, la persona offesa di un reato che è stato commesso ai suoi danni proprio in quanto donna ed adolescente, priva di strumenti di difesa e di alternative culturali, potrà, con una propria condotta positiva e volontaria, cioè la lettura, appropriarsi, solo se lo riterrà, di quelle storie e di quelle elaborazioni, per servirsene un giorno come grimaldello per esprimere tutta la propria libertà ed autonomia di pensiero e di scelta.  Anche discostandosene, criticandoli, aggredendoli intellettualmente perché chiudono o aprono orizzonti e prospettive tanti quanti sono i lettori e le lettrici ed i loro pensieri o modi di vedere. 

Si tratta di autrici che, talvolta in solitudine, hanno proposto le loro visioni del mondo e le loro domande nelle diverse branche del sapere così rendendo più articolato e complesso il quadro culturale tanto da consentire, per ciò solo, il progresso dell’intera umanità e del suo articolato pensiero. Alcune di quelle autrici hanno anticipato, colto e accompagnato le profonde trasformazioni della storia anche pagando con la propria vita o con l’isolamento sociale perché portatrici di un progetto di rinnovamento che ha investito con forza la soggettività non solo delle donne ma anche degli uomini. 

Laura appartiene a quei libri in un legame che, anche inconsapevolmente, crea un mutuo patto tra le generazioni, in quanto appartiene a quella straordinaria ricchezza interpretativa ed artistica. “Perché i capolavori non sono nascite isolate e solitarie; essi sono il risultato di molti anni di un pensare in comune, di pensare avendo accanto a sé la gran parte del popolo, sì che l’esperienza della massa si raccoglie dietro a quella singola voce” (Virginia Woolf, “Una stanza tutta per sé”, pag.  79, 2013, Milano). E L., come le autrici e gli autori dei libri che ROSSI è obbligato a comprarle, è figlia di quella produzione filosofica, letteraria, storica, critica che l’imputato, nei suoi appuntamenti sessuali, le ha simbolicamente sottratto facendola sentire come una merce priva di valore e di identità.

Oggi Laura si colloca sopra quei libri, perché già le appartengono in quanto figlia di quella storia e di quel pensiero, e Tizio è costretto a fare i conti con la sua statura, quella che nessuno, neanche lui, può comprare. È evidente, in questa logica, che la consegna a Laura dei testi e dei film, indicati nel dispositivo, non ha alcuna valenza rieducativa o impositiva di un modello, ma, costituisce, come già scritto, esclusivamente una modalità risarcitoria in forma specifica che appare essere l’unica adeguata al caso di specie. 

Si offre alla vittima vulnerabile di un reato tanto grave, non certo un inammissibile indottrinamento, ma solo uno strumento finalizzato ad un processo di acquisizione di consapevolezza, che pone al vertice la sua dignità umana.  L. potrà o meno cogliere ed accogliere questa offerta, sentendosi a pieno titolo parte di quella ricchezza culturale che le sue madri intellettuali le hanno regalato, così aprendo la propria vita ad un’esperienza di libertà consapevole che solo la conoscenza le può permettere”.

Questo il ragionamento del giudice, l’invito alla “conoscenza” per arrivare alla “consapevolezza” sarà stato colto?