Quando la polizia giudiziaria invia all’autorità giudiziaria una parte degli atti d’indagine e trascura l’invio degli atti favorevoli all’indagato, il sequestro preventivo che affermi la sussistenza del fumus commissi delicti è motivato seriamente?
La cassazione sezione 2 con la sentenza numero 11964 del 21 marzo 2023 ha affrontato la questione della mancata trasmissione all’autorità giudiziaria degli atti d’indagine compiuti dalla polizia giudiziaria e la sussistenza del fumus commissi delicti nel sequestro preventivo.
La Suprema Corte ha stabilito che deve essere annullata senza rinvio l’ordinanza che accoglie l’appello proposto dal pubblico ministero contro la revoca del sequestro preventivo, non potendo che definirsi apodittica e fittizia una motivazione che affermi la sussistenza del fumus commissi delicti pur nella consapevolezza dell’assoluta incompletezza degli atti messi a sua disposizione e della presenza di elementi favorevoli all’indagato che sono stati oscurati dalla selezione della polizia giudiziaria e che sono rimasti ignoti all’autorità giudiziaria, in generale, e allo stesso tribunale, in particolare.
Nel caso di specie la valutazione del Tribunale risulta limitata a cinque verbali di fronte a una mole di atti per circa novemila pagine, compresi i documenti acquisiti presso i vari enti regionali, “così perpetuandosi un giudizio fondato su di una parte del compendio investigativo”.
La cassazione rileva che non è prevista alcuna sanzione di nullità per la mancata trasmissione all’autorità giudiziaria degli atti d’indagine compiuti dalla polizia giudiziaria; ciò nonostante, non può che definirsi “apodittica e fittizia” la motivazione che conferma il sequestro preventivo nella consapevolezza che è basato su una minima parte di atti investigativi, selezionati dalla P.G., mentre non risultano trasmessi atti e documenti favorevoli all’indiziato che sono rimasti ignoti all’autorità giudiziaria in generale e al tribunale in particolare.
