Richiesta di archiviazione per difetto di una condizione di procedibilità e limiti del potere di controllo del giudice (di Vincenzo Giglio)

Cass. pen., Sez. 4^, sentenza n. 7622/2023, udienza del 19 gennaio 2023, chiarisce il compito del giudice che debba decidere su una richiesta di archiviazione per difetto di una condizione di procedibilità.

Vicenda

Il PM propone ricorso per cassazione avverso il provvedimento di un giudice di pace con cui – a seguito di richiesta di archiviazione del PM nei confronti di un’indagata per il reato di cui all’art. 590 cod. pen. – è stata disposta la restituzione degli atti al PM per la prosecuzione delle indagini, consistenti nell’assumere informazioni in ordine all’eventuale rinunzia della persona offesa al diritto di proporre querela.

Il ricorrente lamenta che il giudice ha pronunciato un’ordinanza abnorme, per l’impossibilità del giudice investito della richiesta di archiviazione, per assenza di una condizione di procedibilità, di sollecitare indagini volte alla rimozione o alla definitiva conferma della condizione di improcedibilità.

Decisione della Corte di cassazione

Il collegio sottolinea preliminarmente che la categoria dell’abnormità è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza per fornire uno strumento di impugnazione – eventualmente alternativo e residuale rispetto a tutti gli altri rimedi – che assicuri il controllo sulla legalità del procedere della giurisdizione. L’abnormità, nella sostanza, integra uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento. Ciò può assumere le vestì di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli positivamente disciplinati, ovvero di un atto normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale; in entrambi i casi, ciò che segnala la relativa abnormità è proprio l’esistenza o meno del “potere” di adottarlo. In questa prospettiva, dunque, abnormità strutturale e funzionale si saldano all’interno di un “fenomeno” unitario, consistente nel difetto di “attribuzione” circa l’adattabilità di un determinato provvedimento, tale da rendere illegittimo lo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, con conseguente esigenza di rimozione dell’atto abnorme.

Nel caso in esame, il ricorrente coglie nel segno laddove, nell’ambito della pur variegata dinamica che contraddistingue il procedimento di archiviazione, evidenzia come il controllo giurisdizionale sulla richiesta di “inazione” del pubblico ministero (costituzionalmente imposto dall’art. 112 Cost.) debba svolgersi all’interno di un perimetro di “domanda” necessariamente cristallizzato nel quadro dei casi tipizzati dall’ordinamento, con la conseguenza che qualsiasi intervento “eccentrico” sul versante dei poteri di controllo spettanti al giudice, finisce ineluttabilmente per riflettersi come atto invasivo di una sfera di attribuzioni spettante al solo organo titolare della azione penale (o della reciproca “inazione”).

Nella specie, in presenza della domanda di archiviazione per difetto di una condizione di procedibilità, secondo la “formula” prevista e tipizzata dall’art. 411 del codice di rito — che detta un numero chiuso di “altri” casi di archiviazione, rispetto a quello della infondatezza della notizia di reato di cui all’art. 409 cod. proc. pen. — al giudice adito spetta il relativo “controllo” sullo specifico “caso” devolutogli, nel senso che è investito di tutta (ma soltanto della) cornice entro la quale si iscrive la dedotta improcedibilità (ad es. qualificazione giuridica del fatto; scrutinio sulla giuridica assenza della condizione di procedibilità; carenze investigative che si riflettano sul nomen iuris, ecc.).

Resta, invece, estraneo rispetto al perimetro della devoluzione, ogni aspetto che attenga alle “scelte” del soggetto cui è conferito il diritto o il potere di rimuovere la condizione di improcedibilità, trattandosi – per quanto direttamente riguarda la querela – di atto “pre-processuale” che al giudice spetta verificare, ma non certo promuovere o assecondare (cfr. Sez. 2, n. 48194 del 04/12/2012, Rv. 253899 – 01). Del resto, nessuna norma impone al pubblico ministero di chiedere l’archiviazione solo dopo che sia scaduto il termine per proporre querela: anzi, dalla stessa previsione di cui all’art. 345, comma 1, cod. proc. pen. si desume che è del tutto possibile per l’organo inquirente chiedere l’archiviazione prima che sia scaduto tale termine, salva la possibilità per la pubblica accusa di esercitare l’azione penale per lo stesso fatto, qualora sopravvenga la condizione di procedibilità, senza neanche necessità di chiedere al giudice l’emissione del decreto di riapertura delle indagini (cfr. Sez. 4, n. 12801 del 07/02/2007, Rv. 236280 – 01).

Si deve, pertanto, concludere nel senso che l’ordine del giudice – contenuto nel provvedimento impugnato – di assumere informazioni in ordine all’eventuale rinunzia della persona offesa al diritto di proporre querela, risulta estraneo all’ordinamento e tale da determinare una non consentita stasi del procedimento che deve essere conseguentemente rimossa.

Conseguentemente, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al giudice di pace di affinché provveda sulla richiesta di archiviazione formulata dal PM.

Massima

In presenza della domanda di archiviazione per difetto di una condizione di procedibilità, secondo la formula prevista e tipizzata dall’art. 411 c.p.p. — che detta un numero chiuso di altri casi di archiviazione, rispetto a quello della infondatezza della notizia di reato di cui all’art. 409 c.p.p. — al giudice adito spetta il relativo controllo sullo specifico caso devolutogli, nel senso che è investito di tutta (ma soltanto della) cornice entro la quale si iscrive la dedotta improcedibilità (ad es. qualificazione giuridica del fatto; scrutinio sulla giuridica assenza della condizione di procedibilità; carenze investigative che si riflettano sul nomen iuris, ecc.). Resta, invece, estraneo rispetto al perimetro della devoluzione, ogni aspetto che attenga alle scelte del soggetto cui è conferito il diritto o il potere di rimuovere la condizione di improcedibilità, trattandosi – per quanto direttamente riguarda la querela – di atto pre-processuale che al giudice spetta verificare, ma non certo promuovere o assecondare.