Arresti domiciliari: le indispensabili esigenze di vita per ottenere l’autorizzazione ad uscire dall’abitazione (di Riccardo Radi)

Quali sono i requisiti necessari per ottenere l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari per provvedere alle “indispensabili esigenze di vita”?

La cassazione sezione 3 con la sentenza numero 9108 depositata il 3 marzo ha stabilito che in tema di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari, la valutazione in ordine alle “indispensabili esigenze di vita” deve essere improntata, stante l’eccezionalità della previsione di cui all’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., a criteri di particolare rigore, potendo risultare positiva solo in presenza di situazioni obiettivamente riscontrabili che impediscano al soggetto ristretto di poter far fronte in altro modo all’esigenza di vita rappresentata.

Sul punto riportiamo tra i molteplici precedenti giurisprudenziali, Sez. 5, n. 27971 del 1°/7/2020, Rv. 279532; Sez. 6, n. 553 del 21/10/2015, Rv. 265705.

Evidenziamo che il giudicante, non può spingersi fino alla richiesta di dimostrazione di una totale impossidenza tale da non consentire neppure la soddisfazione delle primarie esigenze di vita, essendo sufficiente che le condizioni reddituali del soggetto non gli consentano, in assenza dei proventi dell’attività lavorativa per il cui svolgimento è chiesta l’autorizzazione, di provvedere agli oneri derivanti dalla educazione, istruzione e necessità di cura propria e dei soggetti della famiglia da lui dipendenti (per tutte, Sez. 3, n. 24995 del 13/2/2018, Rv. 273205).

Resta fermo, inoltre che è legittimo rifiutare l’autorizzazione in questione laddove difetti qualsiasi documentazione che dimostri lo stato economico prospettato (per tutte, Sez. 2, n. 8276 del 30/1/2018, non massimata).

In ordine al possibile contributo da parte dei familiari conviventi, la cassazione ha sottolineato che gli stessi soggetti sono comunque tenuti a sopperire alle indispensabili esigenze alimentari del congiunto agli arresti domiciliari, alla luce di quel fondamentale dovere solidaristico che connota – e permea di sé – le relazioni familiari più strette (tra le altre, Sez. 6, n. 32574 del 3/6/2005, Rv. 231869).

Pertanto, si può concludere che la linea dettata dalla Suprema Corte prevede che quando sia applicata la misura degli arresti domiciliari:

a) la richiesta di svolgimento di attività lavorativa è ammissibile solo se è provata la condizione di “assoluta indigenza” del richiedente e del proprio nucleo famigliare;

b) la valutazione di tale condizione richiede l’apprezzamento delle complessive fonti di sostentamento disponibili, tenuto conto che, con riguardo agli apporti provenienti da terzi, possono essere considerati solo a quelli provenienti da soggetti obbligati legalmente, come nel caso di specie (che non consegue alla inabilità lavorativa derivante dall’applicazione della cautela);

c) la valutazione dell’esistenza dello stato di assoluta indigenza non implica l’automatica concessione dell’autorizzazione richiesta, dato che deve essere successivamente valutato se l’attività lavorativa in concreto richiesta incida sulla efficacia cautelare del vincolo.

Questi sono i punti da tenere a mente al momento della redazione dell’istanza autorizzativa.