Terzultima Fermata scrive di diritto e lo fa principalmente occupandosi di quello che esce fuori dalle aule parlamentari e giudiziarie.
Ogni tanto però si concede incursioni esterne a quegli ambiti: per noia, sicuramente, ma anche per la consapevolezza che il diritto si nega a chi, cercandone il significato, frequenta solo quei luoghi angusti.
La letteratura, anche nelle sue forme espressive considerate a torto minori, è uno dei mondi in cui è più probabile trovare indizi del senso cercato, come è dimostrato efficacemente dal romanzo che dà il titolo a questo scritto.
Pubblicato nel 1939, Dieci piccoli indiani (Ten little niggers nella versione in inglese e And then there were none in quella americana), è uno dei gialli più famosi di Agatha Christie.
Dieci persone, due servitori e otto ospiti, si riuniscono in una villa sull’isola di Nigger Island.
Hanno tutte ricevuto un invito da parte del proprietario che tuttavia non è presente al raduno.
Nelle stanze in cui si sistemano trovano tutti la stessa filastrocca dalla quale il libro prende il nome: racconta di dieci piccoli neri che, uno alla volta, muoiono per cause tutt’altro che naturali finché alla fine non ne rimane più nessuno (proprio quest’ultimo verso dà il titolo alla versione americana).
Man mano che la trama del libro si dipana la Christie svela le due notizie essenziali: ognuno dei personaggi ha compiuto un’azione cattiva, riuscendo tuttavia a sfuggire alla giustizia; tra gli ospiti c’è un giudice, Lawrence Wargrave.
Esattamente come nella filastrocca, gli ospiti muoiono a uno a uno finché la villa rimane deserta.
La polizia, come è tipico nei romanzi gialli di impostazione classica, brancola nel buio e non riesce a risolvere l’enigma.
Provvidenzialmente, all’interno di una bottiglia di vetro rinvenuta in mare e trovata dall’equipaggio di un peschereccio, si trova una lettera che svela ogni cosa.
Il colpevole è Wargrave.
È lui, fingendosi il proprietario della villa, ad avervi attirato gli ospiti ed è sempre lui ad averli assassinati tutti dopo avere inscenato la sua morte per allontanare i sospetti e rimanere libero di realizzare il suo piano.
Wargrave si erge a giustiziere, auto-assegnandosi il compito di punire con la pena più severa i colpevoli sfuggiti alla giustizia ufficiale.
Ma neanche lui è un’anima candida: la sua giustizia è spietata ed a motivarlo è il gusto irrefrenabile per la violenza che è parte della sua natura.
Questa è la storia ed ha avuto così tanta fortuna da essere venduta in decine di milioni di copie e da ispirare film e rappresentazioni teatrali.
A noi interessa perché ha molto a che fare con l’oggetto del blog.
Nel giudice Wargrave si incarnano alcune caratteristiche che non si fatica a rintracciare anche oggi sebbene siano passati più di ottant’anni dalla pubblicazione del libro: la pulsione moralista, il piacere quasi fisico per la punizione, l’idea che la giustizia e la sua funzione di riparazione dei torti e di rispristino dell’ordine naturale delle cose violato dai colpevoli rendano lezioso ogni richiamo alle regole ed al loro valore.
Un così nobile fine come quello della giustizia giustifica ogni mezzo: questa è l’idea di Wargrave e se ne trovano tracce anche oggi.
