Ma si può davvero fare a meno della difesa? (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

In un post pubblicato ieri (consultabile a questo link) abbiamo riferito ai lettori la notizia dell’insolita avvertenza che un giudice delle indagini preliminari ha ritenuto di inserire nel corpo di un avviso di fissazione di udienza.

L’avvertenza è questa: “avvisa la persona indagata che è suo diritto non partecipare all’udienza come sopra fissata, è doveroso per legge per il Giudice  in relazione alla stessa, ove non dia mandato ad un Difensore di fiducia, nominare e citare per l’udienza (come viene fatto con il presente atto) un Difensore d’ufficio che per legge (art. 31 disp. Att. c.p.p.) ha diritto di chiedere una retribuzione alla persona indagata che ha difeso e per la quale sia comparso all’udienza sopra indicata.

La persona indagata che, come suo diritto, non voglia comparire all’udienza e voglia limitarsi ad attendere la decisione del Giudice senza trovarsi nella condizione di dover retribuire il Difensore d’ufficio, contatti quindi il Difensore come sopra nominatole e lo inviti espressamente e formalmente, a mezzo Posta Elettronica Certificata o racc. A.R. o in altro documentato modo, a non comparire all’udienza fissata ed in generale a non svolgere alcuna attività difensiva“.

La pura analisi testuale dei due periodi ed in particolare del secondo indurrebbe un’impressione di “premura” del giudice nei confronti dell’indagato.

Il primo informa il secondo di molteplici diritti o facoltà o mere possibilità di cui può avvalersi: non presenziare all’udienza; attendere serenamente la decisione del giudice; fare a meno del difensore designato dall’ufficio e quindi evitare di retribuirlo; in caso di adesione a quest’ultimo suggerimento, invitare formalmente il difensore d’ufficio a non comparire all’udienza e ad astenersi dal compimento di qualsiasi atto proprio del ministero difensivo.

Fin qui il fatto nella sua pura materialità.

Adesso le opinioni.

Nell’udienza cui si riferisce questa così speciale avvertenza il giudice deve prendere una decisione, come è chiaramente esplicitato nell’atto comunicato all’indagato. La decisione potrebbe essere sfavorevole per costui e, in ipotesi, creare le premesse per l’approdo del procedimento verso nuove fasi o nuovi gradi cui seguirebbe il possibile mutamento in peggio della condizione giuridica dell’interessato: tale sarebbe, ad esempio, l’esercizio dell’azione penale e quindi l’acquisizione dello status di imputato che l’implica un carico pendente e tutti gli effetti che la legge ad esso collega.

Non può che trattarsi di una decisione assumibile de plano e quindi l’avviso del giudice non può considerarsi extra-ordinem.

Eppure, al tempo stesso, la “narrazione” e l'”ideologia” che stanno dietro all’avvertenza di cui si parla sembrano contenere qualcosa di profondamente sbagliato ed è l’idea che il giudice possa decidere solitariamente e che il ruolo difensivo sia soltanto un accidente, così irrilevante da essere degradato a un costo, per di più inutile.

Quel giudice, magari inconsapevolmente, sta dicendo all’indagato che la difesa non serve o, quantomeno, che genera un onere economico ingiustificato a fronte dei risultati ottenibili.

C’è poi un secondo aspetto ed è tutt’altro che trascurabile.

Si ipotizzi che l’indagato si adegui all’invito del giudice e quindi comunichi formalmente al difensore d’ufficio designato che non intende avvalersi dei suoi servigi professionali e lo “diffidi” dal partecipare all’udienza e dal compiere atti propri del suo ministero.

Può quel difensore acquietarsi e uscire di scena senza lasciare traccia di sé?

Basti qui ricordare che, ai sensi dell’art. 11, comma 3, del vigente codice deontologico dell’avvocatura, “L’avvocato iscritto nell’elenco dei difensori d’ufficio, quando nominato, non può, senza giustificato motivo, rifiutarsi di prestare la propria attività o interromperla“.

Si dovrebbe convenire che l'”avvertenza del giudice” non è un giustificato motivo sicché al difensore d’ufficio non compete non prestare la sua opera o interromperla sulla base di quel presupposto.

E se poi si volesse considerare la questione dal punto di vista di ciò che può o non può fare un appartenente all’ordine giudiziario, potrebbe venire astrattamente in rilievo l’art. 2 del vigente ordinamento disciplinare (illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni) il quale al comma 1, lettera d), conferisce rilievo disciplinare ai “comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell’ambito dell’ufficio giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di collaboratori“.

Si potrebbe cioè in ipotesi ritenere – sempre che quell’avvertenza sia non un caso isolato ma una prassi abituale – che anche solo la prospettazione rivolta all’indagato di poter fare a meno della difesa equivalga a un comportamento scorretto sia verso la parte che verso il suo difensore, di fiducia o d’ufficio che sia.

Sono solo opinioni, lo si è già detto, che tuttavia si contrappongono ad un’altra opinione, tale dovendosi qualificare il “suggerimento” del giudice.

Infine, prima di chiudere, alcune domande.

È davvero così inutile e disturbante la difesa nel processo penale?

Se ne può davvero fare a meno così tranquillamente senza che il giudizio penale e lo stesso giudice perdano la loro funzione e, per così dire, la loro “anima”?

A noi sembra di no ma anche questa è un’opinione.