Cass. pen., Sez. 1^, sentenza n. 2350/2023 (udienza del 2 dicembre 2013), indica alcuni criteri che possono essere utilmente impiegati nella valutazione della prova indiziaria ed i limiti del loro impiego.
Vi si afferma che, in tema di valutazione della prova, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile, ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme con gli altri elementi risultanti dagli atti (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep. 2012, Rv. 252066-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Rv. 272995-01; Sez. 6, n. 36430 del 28/05/2014, Rv. 260813-01; Sez. 6, n. 16532 del 13/02/2007, Rv. 237145-01).
Questo indirizzo interpretativo, peraltro, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai definitivamente consolidato, in tema di ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime di esperienza, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: «Nella valutazione probatoria giudiziaria – così come, secondo la più moderna epistemologia, in ogni procedimento di accertamento (scientifico, storico, etc.) – è corretto e legittimo fare ricorso alla verosimiglianza ed alle massime di esperienza, ma, affinché il giudizio di verosimiglianza conferisca al dato preso in esame valore di prova, è necessario che si possa escludere plausibilmente ogni alternativa spiegazione che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile. Ove così non sia, il suddetto dato si pone semplicemente come indizio da valutare insieme a tutti gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 2005, Rv. 230873-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 49029 del 22/10/2014, Rv. 261220-01; Sez. 3, n. 31706 del 07/03/2003, Rv. 228401-01; Sez. 1, n. 329 del 22/10/1990, dep. 1991, Rv. 186149-01).
Commento
Tutto bene, tutto chiaro?
Mica tanto, vero?
Massime di esperienza e criterio della verosimiglianza sono concetti indefinibili e sempre più incerti.
Entrambi, in fondo, sono quello che il giudice vuole che siano.
Esattamente come il libero convincimento che di massime d’esperienza e di verosimiglianza si nutre senza limiti, il cui uso viene giustificato a posteriori proprio con quelle massime e con quella prossimità al vero e che nessuno mai spiega quanto sia prossima e a quale vero lo sia.
Formule astratte ed insignificanti, nate dall’umano bisogno di razionalizzare l’irrazionale.
