Continuazione nella fase esecutiva e corretta valutazione del fattore temporale (di Riccardo Radi)

Premessa

Ringraziamo l’avvocato Francesco Buonomini del foro di Roma di averci segnalato un’interessante questione, originata da un suo ricorso alla Suprema Corte e affrontata e decisa da Cass. Pen., Sez. 1^, sentenza n. 3046/2023 (udienza del 27 ottobre 2022), allegata in calce al post in versione anonimizzata.

Il tema attiene alla corretta valorizzazione del decorso del tempo ai fini del riconoscimento del disegno criminoso unitario quale indispensabile presupposto dell’istituto della continuazione ex art. 81 c.p.

Decisione della Corte di cassazione

Il collegio di legittimità premette che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, Gargiulo, Rv. 270074).

È stato, più volte, affermato, in tema di continuazione, che il decorso del tempo costituisce elemento decisivo sul quale fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni previste dall’art. 81 cod. pen., atteso che, in assenza di altri elementi, quanto più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più deve ritenersi improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee fondamentali (Sez. 4, n. 34756 del 17/5/2012, Rv. 253664).

Tuttavia, è stato, anche, precisato che l’elevato arco di tempo all’interno del quale sono stati commessi più reati non esime il giudice dall’onere di verificare se la continuazione possa essere riconosciuta con riferimento a singoli gruppi di reati commessi, all’interno di tale arco, in epoca contigua, tenuto conto degli ulteriori indici rappresentati dalla similare tipologia, dalle singole causali e dalla contiguità spaziale (Sez. 1, Sentenza n. 7381 del 12/11/2018, dep. 2019, Rv. 276387: in motivazione, la Corte ha precisato che l’esigenza di tale verifica sussiste se e nei limiti in cui l’interessato abbia dedotto l’evenienza del medesimo disegno criminoso anche per singoli gruppi di reati, enucleandoli ed allegando gli indici rivelatori della corrispondente continuazione parziale).

Ciò premesso, il collegio osserva che deve ritenersi fondato il primo motivo di ricorso. Ed invero, esaminando l’istanza originaria presentata nell’interesse dell’odierno ricorrente, si rileva che essa era volta ad ottenere, in via principale, l’applicazione della disciplina della continuazione non solo fra i reati giudicati con le dieci sentenze prese in considerazione nel provvedimento impugnato, ma con estensione ai reati giudicati con altre sentenze e che, tra l’altro, erano stati, per “gruppi”, già riconosciuti avvinti dal vincolo della continuazione con ordinanze emesse dal Tribunale di Roma e dalla Corte di appello di Roma.

A questa prima lacuna motivazionale se ne aggiunge una seconda, stigmatizzata sempre nel primo motivo di ricorso, costituita dal non avere il giudice dell’esecuzione preso in esame la richiesta subordinata di applicare la richiesta disciplina della continuazione per “gruppi” di reati, pure avanzata nell’istanza introduttiva, per come meglio si dirà tra poco.

Anche il secondo motivo di ricorso è fondato, sotto il profilo della errata e incompleta valutazione del fattore temporale, apprezzabile, come sottolineato in premessa, quale indicatore sintomatico dell’unitarietà del disegno criminoso.

Osserva, sul punto, la cassazione che, in difformità da quanto costantemente statuito dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito ha apprezzato il suddetto fattore temporale prendendo in considerazione solo le date del primo e dell’ultimo degli episodi delittuosi esaminati, sottolineando l’estrema ampiezza del relativo intervallo (circa otto anni) e reputandolo logicamente inconciliabile con una matrice criminosa unitaria.

Tuttavia, nell’optare per tale metodo di valutazione, il giudice di merito ha, erroneamente, trascurato, come pure richiestogli dall’interessato in via subordinata, la possibilità di applicare la disciplina della continuazione per “gruppi”, sulla base degli indicatori della omogeneità dei reati e della loro contiguità spazio-temporale.