Riforma Cartabia: il mutato regime di procedibilità del reato non ha rilevanza in caso di inammissibilità del ricorso (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 3715 depositata il 30 gennaio 2023 ha stabilito che  la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso, sicché non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità del ricorso sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata.

La Suprema Corte rileva che a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, che ha modificato l’art. 624, c. 3, cod. pen., tale reato è oggi procedibile a querela di parte.

L’art. 85 del citato decreto (come modificato dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 di conversione del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162), nel dettare disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità ha stabilito che “Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”.

Nel caso di specie, tuttavia, non v’è necessità di attendere che decorrano tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (30 dicembre 2022).

Trova, infatti, applicazione il principio che fu affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36.

La disciplina transitoria prevedeva, in quel caso (art. 12 c. 2, d.lgs. n. 36/18), che dovesse essere dato avviso alla persona offesa della possibilità di proporre querela e il Supremo collegio ritenne che questo avviso non dovesse essere dato, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, in casi di inammissibilità del ricorso (Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, Rv. 273551).

Fu rilevato in quel caso, facendo ampio riferimento ai principi affermati in altre decisioni del supremo collegio (in particolare, Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819) “che l’art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l’epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione.

Non riveste, cioè, per quanto qui interessa, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione”.

L’argomentazione si attaglia perfettamente anche al caso in esame.

Consente, infatti, di escludere che il procedimento sia “pendente” in presenza di un ricorso inammissibile.

Come sottolineato anche dalla sentenza Ricci, tale affermazione non è in contrasto con i diritti fondamentali sul giusto processo garantiti dalla CEDU. È onere della parte interessata, infatti, attivare correttamente il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudice e non vengono perciò in considerazione l’equità o la razionalità del processo.

La sopravvenienza della procedibilità a querela, peraltro, ha valore ben diverso dalla abolitio criminis e la giurisprudenza ha costantemente escluso che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità.

Come opportunamente rilevato dalla sentenza Salatino, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (sez. 6, n. 44774 del 8/10/2015, Rv. 265343) ed ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, Rv. 248568), sicché non può dirsi che la declaratoria di inammissibilità del ricorso sia destinata ad essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata (Sez. U. Salatino, cit., Rv. 273551).

Nel caso di specie, dunque, il mutato regime di procedibilità del reato non ha rilevanza e non preclude l’immediata dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con riferimento a tale reato.