Intralcio alla giustizia: configurabile anche per il teste che ha già deposto, la sua qualità cessa a processo finito (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 3953 depositata il 30 gennaio 2023 ha stabilito che ai fini della configurabilità del delitto di intralcio alla giustizia (ante 2006 subornazione), nella fase del giudizio la qualità di persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria si assume nel momento della citazione della stessa in qualità di testimone (in questo senso Sez. U, n. 37503 del 30/10/2002, Vanone, Rv. 222347) e viene conservata fino al momento dell’esaurimento del processo (così Sez. 6, n. 45002 del 06/07/2018, Rv. 274222): non potendosi escludere che la persona ascoltata durante la fase delle indagini e non esaminata in giudizio, possa essere escussa come testimone anche in una fase successiva a quella nella quale il processo dovesse essere definito con l’instaurazione di un rito ‘a prova contratta’ (quale l’abbreviato o il patteggiamento) e con l’emissione di una sentenza soggetta ancora ad impugnazione.

La Suprema Corte Come ricorda che la fattispecie di “intralcio alla giustizia“, introdotta dalla legge 16 marzo 2006, n. 146, ha sostituito la precedente figura di reato della subornazione, prevista dal previgente art. 377 cod. pen., modificandone il nomen juris e sottoponendo a pena, oltre all’ipotesi originaria della promessa o offerta di denaro o altra utilità, comportamenti di violenza o minaccia.

È rimasta pertanto inalterata la struttura della fattispecie di reato di pericolo, ovvero a “consumazione anticipata” (non consentendo pertanto la configurabilità del tentativo) (Sez. U, n. 37503 del 30/10/2002, Vanone, Rv. 222348; Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016, Rv. 267704). Ne consegue quindi, avendo riguardo anche all’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 377 cod. pen., che è irrilevante che l’azione realizzi o meno un effettivo condizionamento delle dichiarazioni del destinatario dell’azione aggressiva o intimidatoria, in quanto la norma intende realizzare una tutela anticipata del bene giuridico dell’amministrazione della giustizia.

Quel che rileva quindi è che la condotta al momento in cui fu resa sia potenzialmente “idonea” – in base ad un giudizio ex ante – a raggiungere il suo scopo.

Infine, la cassazione rileva che ai fini della configurabilità del reato, che la qualità di “persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria” nel processo penale si assume nel momento dell’autorizzazione del giudice alla citazione della stessa in qualità di testimone, ai sensi dell’art. 468, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 37503 del 30/10/2002, Vanone, Rv. 222347; Sez. U, n. 51824 del 25/09/2014, Guidi, non massimata sul punto).

Chiosano i Supremi Giudici sottolineando che il delitto in esame, per la cui configurabilità è richiesta la priorità dell’assunzione della qualifica di testimone rispetto alla messa in atto della condotta illecita, ricorre anche nell’ipotesi in cui tale condotta sia posta in essere nei confronti di colui che abbia già reso la propria deposizione, in quanto la qualità di teste cessa nel momento in cui il processo esaurisce definitivamente il suo corso e non nel momento in cui ha termine la deposizione, ben potendo il teste già sentito essere ulteriormente escusso nella stessa fase ovvero in quella successiva del procedimento – come prevedono gli artt. 603 o 507 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 15789 del 08/03/2005, Rv. 232260; Sez. 6, n. 20106 del 19/04/2016, non mass., nella fattispecie cautelare del procedimento in esame; Sez. 6, n. 17665 del 17/02/2016, non mass. sul punto).