La morte per fame di Bobby Sands e la storia che si ripete (di Vincenzo Giglio)

Il 5 maggio 1981 Robert (Bobby) Gerard Sands morì all’età di 27 anni nel carcere nordirlandese di Long Kesh, meglio noto come Maze (labirinto) per via della sua forma ad H, e ancora più noto per le condizioni disumane riservate ai suoi circa 500 ospiti, ammassati come nel più affollato slum di Calcutta.

Sands era un membro dei Provisional IRA (traducibile come volontari dell’IRA, Esercito repubblicano irlandese), una fazione paramilitare che perseguiva la separazione dell’Irlanda del Nord dal Regno Unito.

I Provisional si erano allontanati dalla casa madre dell’IRA, accusandola di essere incapace di difendere i quartieri cattolici di Belfast e dell’Ulster dalle incursioni violente del Royal Ulster Constabulary (RUC), il corpo di polizia federale dell’Irlanda del Nord.

Nel 1977 Sands fu condannato a 14 anni di reclusione per possesso illegale di armi da fuoco.

Venne quasi subito trasferito nel Maze.

I carcerati “politici” come lui erano equiparati ai delinquenti comuni e subivano un trattamento di speciale rigore da parte delle guardie.

Il primo giorno di marzo del 1981 Sands ed altri suoi compagni di detenzione iniziarono a digiunare per protestare contro il trattamento subito ed ottenere il riconoscimento di alcuni diritti: usare capi di abbigliamento personale, ricevere posta, partecipare ad attività ricreative, frequentare altri detenuti durante le ore d’aria, ottenere il condono di metà della pena.

Mentre il digiuno era già iniziato si tennero elezioni suppletive dopo la morte di un membro del Parlamento britannico e Sands venne eletto al suo posto ma non occupò mai il suo scranno da deputato.

Il 5 maggio 1981, il cuore di Sands, nel frattempo giunto al sessantaseiesimo giorno di digiuno e ridotto ad uno scheletro, smise di battere per sempre.

Nei mesi successivi altri nove detenuti di Maze si lasciarono morire di fame.

Il Governo britannico e il primo ministro Margaret Thatcher furono subissati di critiche da ogni parte ma “the Iron Lady” non smentì neanche in quel caso la sua fama di donna dura come l’acciaio, commentando così la notizia della morte di Sands: “Bobby Sands era un criminale. Ha scelto di togliersi la vita. Una scelta che l’organizzazione alla quale apparteneva non ha concesso a molte delle sue vittime“.

Sands era un criminale secondo le leggi britanniche e le sentenze emesse da corti legittime del Regno Unito.

Ma era anche la persona che, avendo a disposizione soltanto carta igienica, vi scrisse una frase così: “Quante volte mentre il tempo scorre lento, mi soffermo a guardare gli uccelli e seguo il fruscio dell’allodola cercando di individuarla in quella massa blu che è il cielo sopra Maze, immobile sopra di me, che rappresenta la pienezza dell’esistenza. Ed io, desidero fortemente la libertà dell’allodola“.

Parole non più di un criminale ma di un semplice essere umano che desiderava una vita e un po’ di cielo azzurro sopra la sua testa.

Non poté avere né l’una né l’altro e neanche alcuno dei modesti miglioramenti della condizione carceraria che lui e i suoi compagni chiedevano al Governo britannico.

Allora alla violenza si rispondeva con la violenza e al terrore seguiva il terrore.

Quarant’anni dopo la storia si sta ripetendo, questa volta da noi, dentro un carcere italiano.

L’anarchico Alfredo Cospito, condannato per gravissime condotte a scopo terroristico e detenuto da circa dieci anni in un penitenziario sassarese, è stato sottoposto al regime del 41-bis.

Cospito considera inaccettabile quel regime e da circa tre mesi digiuna per protesta.

Ha perso molto peso e, secondo le notizie diffuse da molti organi di stampa, ha superato la linea oltre la quale il rischio di morte è reale ed elevato.

Possiamo solo dire che vorremmo che la storia che si ripete non abbia lo stesso esito che ebbe per Bobby Sands e che le istituzioni competenti non facciano propria la cinica indifferenza della Thatcher.