La cattura di Messina Denaro e i suoi prevedibili effetti (di Vincenzo Giglio)

La cattura di Matteo Messina Denaro dopo una latitanza trentennale è un fatto di grande rilievo e come tale è stato recepito dalla politica, dai mass-media e dall’opinione pubblica.

Le istituzioni esprimono la loro soddisfazione e fanno bene: un boss conclamato in libertà e circondato da un’aura di inafferrabilità è una ferita aperta per lo Stato e un pessimo segnale per i cittadini che sono legittimati a sospettare protezioni e coperture di alto livello.

Lo stesso fanno almeno alcune delle vittime: si sentono liberate da una cappa insopportabile e auspicano che adesso Messina Denaro senta sulla sua pelle almeno una parte del tanto dolore che ha provocato a così tante persone.

Si esprime l’auspicio che, a differenza di altri capimafia che dopo la cattura hanno tenuto la bocca cucita fino alla morte, Messina Denaro si decida a rivelare l’impressionante mole di segreti criminali di cui dovrebbe essere depositario. Si metterà quindi in moto un lavorio investigativo intenso che punterà a questo obiettivo.

Si rilancia e si esalta il protagonismo dell’antimafia. Si dice già e si continuerà a dire che di antimafia c’è bisogno più che mai, che nessuno si sogni di depotenziare gli strumenti, intercettazioni in testa, che hanno consentito la cattura del boss e l’individuazione dei suoi fiancheggiatori.

Ognuno di questi input, tutti potenti, tutti comprensibili, si riverserà sulla politica e sulle istituzioni e provocherà reazioni, impegni e risposte.

Saranno probabilmente quelle più vicine al sentire popolare.

Il dibattito sulle intercettazioni e sui loro abusi subirà un rallentamento.

Legislatore e giudice subiranno il pesante condizionamento della sovraesposizione delle vittime, del loro legittimo dolore, della loro (altrettanto legittima) ricerca di giustizia e della loro (non più legittima) richiesta di rappresaglia.

L’esecuzione della pena e le presunzioni di pericolosità che ne aumentano l’afflizione continueranno ad essere dimentiche del finalismo rieducativo.

Non si faranno analisi e ricerche ma si sarà umani, troppo umani, e si seguiranno prioritariamente le pulsioni primarie di ogni essere umano.

Non è una questione di giusto o sbagliato: tutti siamo come siamo e se soffriamo vogliamo liberarci dal dolore, se abbiamo subito del male vogliamo rispondere col male; le norme e le sentenze, private di ogni sovrastruttura, sono l’espressione di questi sentimenti basici.

È solo una questione di convenienza: ci conviene essere così, saremo più liberi e sicuri così?