Giudizio abbreviato in appello e presenza dell’imputato detenuto (di Riccardo Radi)

La cassazione sezione 6 con la sentenza numero 49326 depositata il 28 dicembre 2022 ha stabilito che nel giudizio camerale di appello, l’imputato detenuto ha l’onere di comunicare al giudice la sua volontà di comparire ma eventuali disguidi relativi all’inoltro della comunicazione non possono riverberarsi in pregiudizio delle essenziali prerogative difensive dell’imputato.

La Suprema Corte premette che nel caso il giudizio di primo grado è stato definito in abbreviato, per l’appello, trovano applicazione le regole del rito camerale ex art 599 cod. proc. pen. in ragione di quanto previsto dall’art. 443, comma 4 c.p.p.

L’articolo 599, comma 2, prevede che il legittimo impedimento dell’imputato comporti il rinvio dell’udienza soltanto allorché l’imputato abbia manifestato la volontà di comparire.

Nel giudizio camerale di appello, dunque, non vige la regola generale secondo la quale l’imputato detenuto non ha alcun onere di comunicare al giudice il suo stato di detenzione, il quale di per sé, comunque risulti (o appaia probabile), determina l’obbligo del giudice di rinviare l’udienza e di disporre la traduzione, salvo esplicita rinunzia a comparire; vige piuttosto la regola opposta, ossia che l’imputato detenuto ha l’onere di comunicare al giudice di appello la sua volontà di comparire (cfr. Sez. U, n. 35399 del 24/06/2010, F., Rv. 247836).

La presenza dell’imputato non è pertanto necessaria e va assicurata dal decidente soltanto se questi manifesti espressamente la volontà di voler comparire, potendo altrimenti presumersi la sua rinunzia ad essere presente.

Il codice di rito, dunque, in considerazione del particolare giudizio adottato, impone a carico dell’imputato detenuto un vero e proprio onere di comunicare la propria volontà di partecipare all’udienza camerale d’appello.

Onere che, peraltro, per far sorgere il diritto a partecipare, deve essere adempiuto con tempestività, ossia con una comunicazione trasmessa in modo tale da permettere la traduzione dell’imputato per l’udienza.

Solo in questo caso, cioè quando sia comunque pervenuta a tempo la manifestazione di volontà dell’imputato di essere presente, quindi, il giudice d’appello sarà tenuto a disporre la traduzione (Sez. 6, n. 29833 del 02/07/2012, Rv. 253255).

Nel caso esaminato è comprovato che il ricorrente ebbe a formalizzare correttamente la propria richiesta di partecipare al processo, in linea con il disposto di cui all’art. 599, comma 2, cod. proc. pen., manifestando la propria volontà alla struttura carceraria dove risultava ristretto; il tutto in termini certamente compatibili con la puntuale esecuzione dell’incombente relativo alla traduzione.

Comunicazione, questa, che la Corte del merito non ha preso in considerazione, a nulla rilevando il possibile mancato inoltro della stessa da parte della struttura competente, trattandosi di evenienza le cui conseguenze non possono riverberarsi in pregiudizio delle essenziali prerogative difensive dell’imputato e ciò ancor di più se si considera che il difensore, nel caso, ebbe a fare presente alla Corte l’avvenuta formalizzazione di tale richiesta e che ciò malgrado il collegio decidente decise ugualmente di trattare il giudizio senza verificare l’effettiva presenza di una richiesta in tal senso veicolata dall’imputato detenuto.