Udienza preliminare e termine ultimo per la modifica dell’imputazione (di Riccardo Radi)

Può essere modificata l’imputazione dopo che hanno concluso le difese?

Qual è il termine ultimo entro il quale il Pubblico Ministero può modificare l’imputazione nel corso dell’udienza preliminare?

La cassazione sezione 5 con la sentenza numero 37125 depositata il 30 settembre 2022 ha ribadito che nel corso dell’udienza preliminare, la modifica dell’imputazione ad opera del pubblico ministero può essere validamente compiuta fino alla formale dichiarazione di chiusura della discussione.

La Suprema Corte ha ritenuto destituita di fondamento giuridico la doglianza relativa alla tardività nella proposizione della contestazione suppletiva da parte del P.m. nel corso dell’udienza preliminare.

Sul punto, occorre ricordare che, secondo la chiara giurisprudenza di questa Corte (cui anche questo Collegio intende fornire continuità applicativa), in sede di udienza preliminare, la modifica dell’imputazione ad opera del pubblico ministero può essere validamente compiuta fino alla formale dichiarazione di chiusura della discussione (Sez. 5, n. 53701 del 21/09/2018, Rv. 275229, vedi anche Sez. 6, Sentenza n. 29313 del 22/01/2015 Ud. (dep. 09/07/2015,  Rv. 264083: fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittima la modifica dell’imputazione effettuata, nei confronti di uno degli imputati, nel corso dell’udienza successiva a quella in cui il difensore di quest’ultimo aveva formulato le proprie conclusioni, udienza dedicata agli interventi delle altre difese).

Inoltre, in merito alla doglianza relativa all’asserita illegittimità della contestazione dell’aggravante per mancata notificazione all’imputato assente del verbale contenente proprio la contestazione suppletiva dell’aggravante, si scontra con il chiaro disposto normativo di cui al primo comma dell’art. 423 cod. proc. pen., norma a tenore della quale: “Se l’imputato non è presente, la modificazione dell’imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione“.

Ricordiamo la norma in esame l’articolo 423 cpp:

1. Se nel corso dell’udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell’imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell’articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente. Se l’imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione.

2. Se risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell’imputato.

Sempre in riferimento alla dedotta modifica della contestazione, si dà continuità all’orientamento secondo cui “In tema di bancarotta fraudolenta, non integra fatto nuovo ai sensi dell’art. 518 cod. proc. pen., la individuazione, nel corso dell’istruzione dibattimentale, di diverse modalità della condotta illecita ovvero di ulteriori condotte di distrazione o, comunque, di difformi condotte integrativa della violazione dell’art. 216 legge fall., trattandosi di fatto che non può generare ‘novità’ dell’illecito, ma soltanto l’integrazione della circostanza aggravante (e non la modifica del fatto tipico), in virtù della peculiare disciplina dell’illecito fallimentare – connaturato alla c.d. unitarietà del reato desumibile dall’art. 219, comma secondo, n. 1 legge fall., che deroga alla disciplina della continuazione – e della peculiarità della norma incriminatrice che non assegna alle condotte di distruzione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione, previste dall’art. 216, n. legge fa/I., natura di fatto autonomo, bensì fattispecie penalmente tra loro equivalenti, e cioè modalità di esecuzione alternative e fungibili di un unico reato.” (Sez. 5, n. 4451 del 02/12/2010, dep. 08/02/2011, Rv. 249262; in termini: Sez. 5, n. 15814 del 20/01/2020, Rv. 279257).

Peraltro, nel caso in esame, la doglianza concernente la dedotta modifica dell’imputazione si riferisce a quanto verificatosi nel corso dell’udienza preliminare, senza considerare che nello svolgimento della successiva istruttoria dibattimentale la difesa ha avuto modo di esercitare tutte le prerogative riconosciute dalla legge.

Sempre in tema di modifica dell’imputazione nel corso dell’udienza preliminare sono utili ricordare le seguenti tre massime tratte dal codice di procedura penale commentato di Filodiritto:

Rassegna giurisprudenziale

Modificazione dell’imputazione (art. 423)

All’udienza preliminare, il PM può modificare liberamente l’imputazione senza alcuna particolare limitazione o condizione dal momento che l’art. 423 non prevede che l’elemento posto a base della modifica debba essere venuto a conoscenza dell’inquirente solo nel corso dell’udienza preliminare, dovendosi comprendere anche l’eventualità che esso sia stato già acquisito nel corso delle indagini preliminari ma non sia stato ancora valutato nelle sue implicazioni sulla formulazione dell’imputazione. Inoltre, nessuna autorizzazione del giudice è necessaria per l’ulteriore contestazione (ed ancor meno, consenso dell’imputato), trattandosi di adempimenti non previsti poiché, se l’imputato non è presente la modificazione dell’imputazione è comunicata al difensore che rappresenta l’imputato ai fini della contestazione, comunicazione che è stata ritenuta dal legislatore garanzia sufficiente all’assente nel corso dell’udienza preliminare e che neppure comporta la concessione di un termine a difesa, sia nel caso in cui l’imputato sia presente sia nel caso in cui questi risulti assente o contumace (Sez. 6, 39926/2018).

La modifica dell’imputazione o la nuova contestazione ai sensi dell’art. 423 non comporta la concessione di un termine a difesa, sia nel caso in cui l’imputato sia presente sia nel caso in cui questi risulti assente o contumace (Sez. 3, 15927/2009).

La possibilità che il fatto contestato a conclusione delle indagini possa variare è regolata dal codice di rito penale, mediante una disciplina che, sul versante delle garanzie difensive, tiene ben distinte le due ipotesi del mutamento in fatto e della riqualificazione in diritto dell’imputazione.

Lo jus variandi in punto di fatto è potere esclusivo del PM, trattandosi di prerogativa inerente all’esercizio dell’azione penale e nel corso dell’udienza preliminare si attua con la modifica del fatto contestato, disciplinata dall’art. 423 – disciplina estesa al reato connesso per continuazione o concorso formale ed all’elevazione di una circostanza aggravante – ovvero con la contestazione del fatto “nuovo”, regolata dall’art. 423, comma 2.

 Univoca nella giurisprudenza di legittimità è definizione di fatto nuovo, nozione che sta ad indicare un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum. Tale definizione, che rimanda al fatto come episodio storico, viene più volte richiamata in contrapposizione a quella più elastica, di fatto diverso. Per fatto diverso, deve, invece, intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato. Ciò che rileva ai fini della violazione del diritto di difesa in rapporto al principio di correlazione ex art. 521 – ma non vi è ragione per non estendere la portata di tale principio anche alla fase dell’udienza preliminare – è l’apprezzamento nella concretezza della situazione processuale e non già in astratto, poiché, la modifica del fatto di rilievo è solo quella che modifica radicalmente la struttura della contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico, il nesso di causalità e l’elemento psicologico del reato, e, per conseguenza di essa, l’azione realizzata risulta completamente diversa da quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall’imputato per discolparsene. Mentre, non si ha mutamento del fatto allorché il fatto tipico sia rimasto identico a quello contestato nei suoi elementi essenziali e sia stato connotato dallo stesso contesto referenziale e storico ed in un ambito in cui l’imputato ha potuto per intero spendere, senza alcuna menomazione del suo diritto di difesa, tutti gli interventi utili a sostenere la propria estraneità ai fatti criminosi stimati nel loro insieme (Sez. 6, 28262/2017).

Secondo l’art. 423, la modifica dell’imputazione rientra nell’esercizio dell’azione penale e, quindi, è attribuita al potere-dovere del PM e non del giudice; tuttavia, su quest’ultimo incombe un vero e proprio dovere di interlocuzione volto a sollecitare la modifica o la precisazione della contestazione, quando ne ritenga sussistenti le condizioni. Con la conseguenza che laddove il PM, a tanto sollecitato, non ottemperi alla prospettata modifica, il giudice sarà tenuto a restituire gli atti, senza la contestuale assoluzione, per insussistenza, del fatto contestato, altrimenti ponendosi una tale pronunzia in insanabile contraddizione con l’ordinanza finalizzata all’esercizio dell’azione penale (Sez. 2, 2491/2017).