Legittima difesa putativa: lo stato dell’arte in giurisprudenza

Un recente decisione della Corte di cassazione, precisamente Sez. 5^, sentenza n. 35261/2022, udienza del 27 giugno 2022, ha affrontato il tema della legittima difesa putativa.

Una donna era stata condannata per lesioni personali aggravate dall’uso di uno spray urticante.

La vittima era il portiere dello stabile in cui viveva l’imputata e tra i due esisteva da tempo una situazione conflittuale.

Il fatto era avvenuto nell’androne condominiale.

La donna ha fatto ricorso per cassazione contro la sentenza d’appello che aveva confermato la condanna di primo grado.

Ha dedotto tre motivi.

Il primo, nella specie della violazione di legge, censurava il mancato riconoscimento della legittima difesa, quantomeno nella sua forma putativa: la Corte d’appello non avrebbe tratto le debite conseguenze di una situazione pericolosa attuale costituita dalle continue prevaricazioni e persecuzioni della parte offesa in suo danno cui era seguita la condanna per atti persecutori, e dalla sua maggiore prestanza fisica e avrebbe, al contrario e infondatamente, accreditato una causale fondata su un’inesistente avversione ispirata da odio razziale dell’imputata verso la vittima .

Il secondo e il terzo motivo attenevano invece al mancato riconoscimento dell’attenuante dell’aver agito in stato d’ira determinato dal fatto ingiusto della parte offesa e al diniego della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche erroneamente giustificato dalla valorizzazione di un inesistente intento ritorsivo connotato da ragioni razziali.

Il collegio della quinta sezione penale ha accolto e considerato assorbente il primo motivo.

Ha rilevato anzitutto che la ricorrente, valorizzando gli stessi elementi posti a base del ricorso per cassazione, aveva già introdotto nel giudizio d’appello il tema della legittima difesa putativa che tuttavia era stato ignorato dalla Corte territoriale la quale si era limitata a prendere in considerazione ed escludere la legittima difesa effettiva.

I giudici di secondo grado avevano infatti escluso la sussistenza di un’aggressione in corso per non essere stata la condotta della parte offesa connotata da continuità, sì da manifestare la sua “decisione all’offesa”, reputando i mezzi impiegati dall’imputata sproporzionati ed i beni in comparazione non omogenei.

Non avevano invece indagato l’incidenza che, sul sostrato psichico della ricorrente, avrebbe potuto produrre l’accertata condotta vessatoria della vittima.

Il collegio di legittimità ha richiamato a tal proposito Sez. 5^, sentenza n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, Rv. 279344, in motivazione, secondo la quale l’errore scusabile, nell’ambito della legittima difesa putativa, deve trovare adeguata giustificazione in qualche fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di un’offesa ingiusta, non evitabile se non mediante la necessitata reazione difensiva.

In tal caso rileva l’errore, sotto forma di cattiva percezione della realtà, ricadente sugli elementi costitutivi della causa di giustificazione, replicandone l’esistenza su di un piano putativo.

Il che è come dire che il presupposto su cui si fonda l’esimente della legittima difesa putativa è costituito dall’esigenza di rimuovere il pericolo di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, seppur erroneamente – ma scusabilmente – supposta.

Ed ancora, l’accertamento della legittima difesa, anche putativa, deve essere effettuato valutando, con giudizio “ex ante”, le circostanze di fatto, in relazione al momento della reazione e al contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete, al fine di apprezzare solo in quel momento – e non “ex post” – l’esistenza dei canoni della proporzione e della necessità di difesa, costitutivi dell’esimente della legittima difesa (Sez. 4^, sentenza n. 33591 del 03/05/2016, Rv. 267473).

A questo fine non è necessario che l’offesa da cui scaturisce la necessità della difesa abbia già cominciato a realizzarsi, essendo sufficiente il pericolo attuale, nel senso di pericolo in corso o comunque imminente, di detta offesa, il quale ben può essere integrato anche da una semplice minaccia (Sez. 5^, sentenza n. 25810 del 17/05/2019, Rv. 276129).

Peraltro, il pericolo attuale di un danno grave alla persona può non assumere natura di pericolo imminente, ma anche di pericolo perdurante, in cui il danno può verificarsi nei confronti del soggetto minacciato in un futuro prossimo (Sez. 3^, sentenza n. 15654 del 02/02/2022, Rv. 283168).

In altri termini, l’attualità del pericolo richiesta per la configurabilità della scriminante della legittima difesa implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista, prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria l’immediata reazione difensiva (Sez. 1^, sentenza n. 48291 del 21/06/2018, Rv. 274534).

Sicché, la scriminante è esclusa di fronte ad un pericolo futuro o immaginario, mentre integra il requisito dell’attualità del pericolo soltanto un rischio attuale, consistente in una concreta minaccia già in corso di attuazione nel momento della reazione, ovvero in una minaccia od offesa imminenti (Sez. 1^,  sentenza n. 3494 del 28/01/1991, Rv. 187110).

A questa coordinate non si è attenuta la Corte territoriale poiché ha escluso il pericolo di minaccia perdurante solo in termini di effettività ma senza esplorare alcuna delle percezioni indotte nell’imputata riguardo il rischio di reiterazione di molestie da parte della vittima.

In più, l’esame dei giudici di appello è stato ancorato ad un erroneo parametro di attualità, che postula una protrazione della continuità dei contrapposti comportamenti aggressivi, “non interrotta da intervalli innocui”, trascurando in toto la specifica modalità delle molestie attribuite alla parte offesa nel contesto di una forzosa prossimità ambientale, tale da indurre ragionevolmente il timore di reiterazione delle stesse attività persecutorie, agevolate dall’elevata probabilità di incontro, anche in assenza di terzi.

A queste già vistose defaillances si è aggiunta l’erronea interpretazione dell’art. 52 c.p. anche nei termini declinati dall’art. 59 c.p., così da delineare quale requisito della fattispecie giustificativa non già il pericolo attuale – nel senso indicato di pericolo già in atto o di pericolo imminente – di un’offesa, ma un’offesa già in atto.

Nel qualificare la condotta dell’imputata in termini di aggressione, e non già di reazione, la sentenza impugnata si limita ad una valutazione astratta, che non esplora in alcun modo il versante della soggettiva percezione di pericolo e la scusabilità della stessa rappresentazione, in tal modo erroneamente escludendo che la minaccia possa dar corpo al pericolo attuale richiesto quale requisito della legittima difesa.

È questa un’omissione valutativa essenziale, posto che l’errore rilevato si riflette sulla complessiva tenuta logico-giuridica della sentenza.

Infatti, anche con riguardo alla seconda prospettiva tracciata dal giudice di appello, il disconoscimento della proporzionalità della condotta dell’imputata si ricollega alla medesima erronea interpretazione della norma sulla scriminante, in quanto si risolve nell’esclusione, in radice e in termini generalizzanti, della possibilità che una condotta (solo) minacciosa possa innescare una reazione scriminata.

Quanto alla ritenuta insussistenza, nel caso di specie, del requisito della necessità di difesa, il rilievo del giudice di appello è del tutto astrattizzante, non risultando puntualmente correlato all’indicazione dei dati probatori idonei a sostenerlo, né alla ricostruzione dei fatti presa in considerazione dalla sentenza impugnata.

Anche la terza prospettiva delineata dal giudice di appello è condizionata dall’errore di diritto individuato, posto che tanto sul punto della proporzionalità che della tipologia dei beni in conflitto oblitera la considerazione della condotta persecutoria posta in essere dalla vittima, il che ha precluso al giudice di appello una corretta valutazione della sussistenza dei requisiti della scriminante.

Non poteva che seguire l’annullamento con rinvio.