La sentenza di appello che assolve necessita di una motivazione rafforzata? (di Riccardo Radi)

La Corte di cassazione (terza sezione penale, sentenza n. 39083/2022, depositata il 17 ottobre 2022) ha affrontato il tema della necessità di una motivazione rafforzata in caso di riforma in senso assolutorio in appello di una sentenza di condanna in primo grado.

La Suprema Corte ha stabilito che il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, pur non avendo l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, comunque deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Rv. 272430).

La maggioritaria giurisprudenza di legittimità evoca spesso, al proposito, il concetto di “motivazione rafforzata” affermando che la riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, impone al giudice di appello di dare puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Rv. 281404; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149; Sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, Rv. 268948).

Pur trattandosi di paradigma non sempre condiviso quando si tratti di revirement in melius (v. ad es., Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017, Rv. 270868; Sez. 3, n. 46455 del 17/02/2017, Rv. 271110), ciò che si vuol significare – e che il Collegio intende ribadire – è che la sentenza di secondo grado deve in tal caso contenere uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del “decisum” impugnato per metterne in luce le carenze o le aporie che ne giustificano l’integrale riforma (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Rv. 261327).

In particolare, il giudice di appello non può in tal caso limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258005; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Rv. 257332).

Fermo restando che la contraddittorietà o l’insufficienza probatoria dovrà risolversi in senso assolutorio in omaggio alla regola per cui non può affermarsi la penale responsabilità se questa non sia dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio, anche a fronte della contraddittorietà del quadro probatorio, il giudice di appello che per tale ragione riformi integralmente la sentenza di condanna di primo grado, assolvendo l’imputato, ha l’obbligo di offrire un autonomo ragionamento che non si limiti ad una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, ma consideri anche il peso, inteso come capacità dimostrativa, degli stessi (Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, D.L., Rv. 269523).