Patrocinio a spese dello Stato: il mero richiamo ai precedenti penali non osta all’ammissione (di Riccardo Radi)

Rilevato che l’istante è gravato da numerosi precedenti penali” … respinge “l’istanza per l’ammissione al gratuito patrocinio” il leit motiv che si legge quotidianamente nei provvedimenti di rigetto di istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Questi provvedimenti devono essere impugnati perché la giurisprudenza della Suprema Corte è pacifica nello stabilire che il mero richiamo ai precedenti penali è errato ed è una apparente motivazione.

La cassazione sezione 4 con la sentenza numero 25342 del 2022 è tornata ad occuparsi dei requisiti necessari ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e l’incidenza dei precedenti penali sul provvedimento di rigetto della domanda di ammissione.

La Suprema Corte ha stabilito che, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il diniego all’ammissione non può basarsi sul mero richiamo dei precedenti penali per indicare redditi presuntivi.

In proposito si segnala l’interessante sentenza della cassazione sez. IV n. 2199/2022 depositata il 19 gennaio ove si indica che: “il mero richiamo ai precedenti penali senza contestualizzarli è da censurare perché il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali l’istante debba ritenersi  percettore di redditi, seppur non dichiarati e di provenienza illecita, attraverso il confronto  tra il tenore di vita e le dichiarazioni fiscali  specificando gli elementi dai quali desumere esistenza e consistenza  dei redditi illeciti. Il mero richiamo al casellario non è sufficiente”.

Ritornando all’ultima decisione numero 25342/2022 i giudici di legittimità premettono che l’art. 76, comma 1, lettera c), D.P.R. 115/2002, prevede la presentazione, da parte dell’istante, di una dichiarazione sostitutiva, dalla quale risulti la “specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76”, è assorbente il rilievo in base al quale non può tuttavia argomentarsi in modo univoco la non accoglibilità della richiesta sulla sola base di precedenti penali insufficienti a far ritenere che l’interessato abbia percepito redditi illeciti non dichiarati nell’anno di riferimento.

A fronte di ciò, come correttamente evidenziato dall’esponente, la normativa vigente offre all’autorità giudiziaria procedente strumenti idonei per verificare le effettive condizioni reddituali, patrimoniali e familiari dell’interessato: non solo a posteriori, attraverso le verifiche di cui all’art. 98 d.P.R. 115/2002 demandate all’Ufficio finanziario competente per territorio, ma anche “prima di provvedere”, esercitando la facoltà conferita al giudicante dall’art. 96, comma 2, dello stesso d.P.R., ossia trasmettendo l’istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di Finanza, per le necessarie verifiche.

A parte tale non trascurabile elemento, deve ricordarsi che il cennato art. 96, comma 2, stabilisce che l’istanza va respinta “se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92” del d.P.R. n. 115/2002, “tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte”.

A proposito della fondatezza dei motivi per rigettare l’istanza, secondo la giurisprudenza di legittimità, è noto che, ai fini della revoca del beneficio in parola, l’accertamento dei redditi deve avvenire secondo gli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni semplici di cui all’art. 2724 cod. civ. tra le quali rientrano il tenore di vita dell’interessato e dei familiari conviventi e qualsiasi altro fatto indicativo della percezione di redditi illeciti (vds. la recente Sez. 4, n. 26056 del 24/07/2020, Rv. 280011); e che i requisiti di gravità, precisione e concordanza, indicati dall’art. 2729 cod. civ., perché gli indizi possano assurgere in subiecta materia al rango di prova presuntiva, debbono valutarsi con rigore e con adeguato riferimento ai fatti noti, dai quali risalire con deduzioni logiche ai fatti ignorati, il cui significato deve essere apprezzato senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative: ad esempio, possono assumere rilievo a tal fine il tenore di vita dell’interessato e dei familiari conviventi, come pure qualunque altro fatto che riveli la percezione, lecita o illecita, di reddito (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 25044 del 11/04/2007, Rv. 237008; e, più recentemente, Sez. 4, Sentenza n. 15338 del 30/01/2020, Rv. 278867).

In tale quadro, non può dirsi corretta, per la sua apoditticità, l’osservazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo la quale il ricorrente sarebbe di fatto inattendibile nella sua dichiarazione a fini reddituali, sul rilievo che egli é gravato da alcuni precedenti per rapina (2013) e in materia di stupefacenti (questi ultimi seguiti da un periodo di detenzione).

Invero tali circostanze, che nel percorso argomentativo vengono poste a base della decisione impugnata, non possono qualificarsi come specifici ed oggettivi elementi fattuali di tale portata da far ritenere che il ricorrente percepisse rediti illeciti nel periodo di riferimento dell’istanza e che quanto dichiarato dall’instante a proposito dei propri redditi sia viziato da falsità o reticenza. Oltre a ciò, va osservato che il ricorso alle c.d. presunzioni semplici viene di regola ammesso non tanto in riferimento alla generica sussistenza di fonti di reddito non dichiarate dall’instante, quanto in riferimento al presumibile superamento del limite di reddito stabilito per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per non abbienti nei casi particolari di cui all’art. 76, comma 4-bis, d.P.R. 115/2002 (cfr. ades. Sez. 4, sentenza n. 30499 del 17/06/2014, Rv. 262242; Sez. 4, Sentenza n. 9703 del 20/11/2012, dep. 2013, Rv. 254932): casi nei quali non risulta rientrare quello oggetto del ricorso in esame.

Pertanto la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta così carente sotto il profilo argomentativo da palesarsi come apparente, in quanto basata su argomentazioni di puro genere e di asserzioni apodittiche e prive di efficacia dimostrativa (cfr. Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, Rv. 263100), di tal che sussiste la denunciata violazione di legge.

S’impone dunque l’annullamento della stessa con rinvio al fine di rivalutare l’istanza avanzata dall’interessato alla luce dei principi dianzi enunciati, se del caso esercitando i poteri officiosi conferiti dalla legge, onde stabilire se l’instante possa o meno essere ammesso al beneficio richiesto.

In conclusione: il diniego all’ammissione non può basarsi sul mero richiamo dei precedenti penali.