
“Il conformista agisce da pauroso, anche senza che sussista, in concreto, una ragione”.
Nacque nel 1882, ultimo di dieci figli, a Coassolo Torinese, un paesino di poche anime nelle Valli di Lanzo dove tornò sempre per ricaricarsi dal lavoro a cui si dedica con passione e coraggio.
Nel 1910 entrò in magistratura, dopo aver esercitato per quattro anni la professione forense.
Rimase in magistratura per quarantatré anni, in una lunga carriera che dal primo ufficio di pretore a Mongrando lo portò (attraverso vari uffici giudiziari del Nord Italia) alla carica di primo presidente della Corte d’appello di Torino; con un unico intervallo, tra il 1915 e il 1918, quando fece parte del Tribunale militare della Terza armata
Durante il fascismo, in un momento difficile per l’Italia e per la parte della magistratura che voleva rimanere libera, Peretti Griva non si piegò alle logiche della convenienza.
Nel 1931, quando prese servizio nel Tribunale di Piacenza e trovò un fascicolo risalente a dieci anni prima in cui un avvocato denunciava di essere stato picchiato da un gruppo di fascisti, decise di rendere vero che “La giustizia è uguale per tutti”.
Nessuno aveva mai osato affrontare il caso ma Peretti Griva non si tirò indietro. Il Tribunale diventò teatro di uno scontro senza precedenti. Il magistrato non si lasciò intimorire da nessuno, nemmeno da Roberto Farinacci, segretario del Partito Nazionale Fascista, che prese le difese degli accusati.
Il processo, celebrato in un’aula affollata da miliziani in divisa, si concluse con la condanna dei tre. Quella sentenza – raccontò poi Peretti Griva – non provocò alcuna conseguenza negativa sulla sua carriera. Anzi, fu la “dimostrazione che anche in regime fascista, il magistrato era nella possibilità di ragionare con la propria testa e di seguire la propria coscienza”.
Perché “il conformista agisce da pauroso, anche senza che sussista, in concreto, una ragione”.
Nel 1931, scrisse una lunga lettera rifiutando di iscriversi al partito di Benito Mussolini, come veniva imposto. Per questo gesto gli fu vietata la partecipazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario dove ci si fregiava di indossare la camicia nera. Peretti Griva rimase con la sua camicia bianca, obbedendo soltanto alla sua coerenza.
Nel 1939, ai tempi delle leggi razziali, emise una sentenza che, contravvenendo alle disposizioni ministeriali, escludeva i nati da ‘matrimoni misti’ dalla soggezione a tali leggi. Al tempo della Repubblica sociale italiana guidò i giudici torinesi che rifiutarono il giuramento di fedeltà al nuovo Stato, riuscendo a convincere il guardasigilli Piero Pesenti – che si era recato appositamente a Torino – a esonerare i magistrati dal giuramento.
Il 20 luglio 1944 il Comitato di liberazione nazionale del Piemonte, in previsione della Liberazione, lo nominò segretamente presidente della Corte d’appello di Torino conferendogli poteri eccezionali (con la possibilità di collocare a disposizione, per collaborazionismo, magistrati o cancellieri). Immediatamente dopo inviò ai presidenti di tribunale e ai procuratori del re del Piemonte una circolare in cui li invitava ad adottare tutte le misure organizzative affinché, nel momento dell’insurrezione, il popolo sentisse, fin dalle prime ore, che l’ordine giudiziario era presente e che dunque la giustizia doveva essere assicurata dai tribunali e non dalla piazza. In questo quadro, fu contrario ad affidare – nei processi politici del dopo Liberazione – il ruolo di pubblica accusa a commissioni di giustizia composte da membri designati dai partiti, perché questi organi avrebbero agito «in contrasto con un principio giuridico e politico che fu una delle prime rivendicazioni della coscienza civile moderna”.
Cambiarono i regimi ma Peretti Griva anche negli anni della Repubblica rimane una persona libera e diventò per tutti nel 1950 “il giudice ribelle”.
Nel 1950 affermò una nuova giurisprudenza che portava alla delibazione delle sentenze di divorzio pronunciate all’estero e riconosceva l’annullamento del matrimonio tra il regista Roberto Rossellini e Marcella De Marchis, scatenando uno scandalo in quell’Italia che avrebbe approvato il divorzio soltanto nel 1975 e che zitt’ il magistrato con il cosiddetto decreto anti Peretti Griva.
Nel 1953 e nel 1956 raccolse le sue memorie e riflessioni in due libri, rispettivamente Esperienze e riflessioni di un magistrato ed Esperienze di un magistrato, da cui emergeva limpidamente il suo profilo di magistrato: colto, tecnicamente preparato, con la ‘schiena dritta’; capace anche, però, di mescolare queste qualità con il buon senso e con una grande attenzione e il rispetto verso gli uomini e le donne di quel popolo in nome del quale si amministra la giustizia.

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