Il ruolo del PG presso la Cassazione nella giustizia disciplinare: qualche esempio concreto (Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

Abbiamo già scritto due volte della giustizia disciplinare dei magistrati, focalizzandoci in entrambi i casi sull’attività della Sezione disciplinare del CSM.

La nostra piccola indagine non sarebbe tuttavia completa se non includesse anche l’operato della Procura generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, ufficio al quale il D. Lgs.  n. 109/2006 assegna un compito di primo piano.

Il suo capo (d’ora in avanti PG) è infatti titolare dell’azione disciplinare assieme al ministro della Giustizia e gli è affidato in via esclusiva il potere istruttorio che può estendersi all’acquisizione di atti coperti dal segreto investigativo. Gli spetta ugualmente la facoltà di archiviare il procedimento se il fatto abbia scarsa rilevanza o sia stato segnalato in una denuncia non circostanziata o sia privo di rilievo disciplinare oppure risulti, sulla base delle indagini compiute, inesistente o non commesso dall’interessato.

Questo potere solitario del PG va usato tutte le volte che il fatto abbia scarsa rilevanza o sia stato segnalato in una denuncia non circostanziata o sia privo di rilievo disciplinare.

Il punto è, tuttavia, che il PG è interprete e arbitro assoluto di ognuno dei parametri, che certo non brillano per capacità descrittiva, e può ritenerli esistenti anche senza disporre alcun accertamento.

Si attribuisce in tal modo ad un organo di parte, non partecipe della giurisdizione propriamente intesa, il duplice potere di qualificare fatti e situazioni, di trarne un esito che impedisce la verifica nella sede giurisdizionale propria e, per di più, precludendo a chiunque, fatta eccezione per il ministro della Giustizia, di conoscere il contenuto del decreto di archiviazione ad eccezione del ministro della Giustizia per le sue competenze istituzionali.

Certo, il ministro della Giustizia ha il diritto di essere informato di ogni archiviazione e, volendo, può chiedere e ottenere la trasmissione degli atti e formulare egli stesso un’incolpazione ai fini della fissazione dell’udienza o anche esercitare autonomamente l’azione disciplinare. Ma si tratta di contrappesi non particolarmente significativi non solo sulla base delle evidenze statistiche ma anche alla luce del monopolio detenuto dal PG riguardo agli accertamenti istruttori.

Questa insolita regolamentazione normativa rende ancora più pressante l’esigenza di verificare che uso faccia il PG del suo potere e di quali parametri si serva per esercitarlo.

Fortunatamente la Procura generale, in un encomiabile sforzo di trasparenza, mette a disposizione nel suo sito web istituzionale le massime tratte dai decreti di archiviazione.

Ci si accede da questo link e poi, per l’esame della massime, da questo ulteriore link.

Ieri abbiamo provato più volte a cliccare su un terzo link che dovrebbe collegare alla raccolta delle massime ma il sito dà un segnale di errore e avverte che la pagina da noi richiesta non può essere mostrata.

Fortunatamente avevamo potuto accedervi senza intoppi in passato per una ricerca analoga, poi condensata in una ricerca, denominata La responsabilità disciplinare dei magistrati, pubblicata il 28 ottobre 2020 su Filodiritto e reperibile a questo link.

Proprio da questo articolo traiamo la scelta di massime che proponiamo qui di seguito nel loro testo integrale.

L’esposto con il quale si prospetta l’illecito disciplinare consistente nella violazione di legge costituisce una notizia circostanziata, qualora contenga la precisa indicazione degli asseriti errori commessi, con la puntuale indicazione altresì delle norme che si assumono violate, evidenziando inoltre le ragioni della palese difformità dell’esegesi contestata dagli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina; tale onere è più stringente, quando l’esposto – soprattutto se sottoscritto dalla parte senza l’assistenza di un difensore tecnico – riguardi un provvedimento impugnabile (o già impugnato) e lo stesso consista e si risolva in una sollecitazione al controllo delle proprie tesi al di fuori della sede giudiziaria ordinaria ed in violazione del contraddittorio con la controparte (RG 432/2020).

La redazione di una sentenza penale con motivazione approssimativa, a tratti carente, e tuttavia idonea a consentire la comprensione della ratio decidendi non integra gli estremi dell’illecito di cui all’articolo 2, comma 1, lettera l), d. lgs. n. 109 del 2006 (RG 1460/2019).

La notizia della proposizione di azione risarcitoria nei confronti dello Stato ex lege n. 117 del 1988 non integra, di per sé sola, gli elementi per l’esercizio dell’azione disciplinare, tenuto peraltro conto che neppure l’eventuale accertamento della responsabilità civile comporta l’obbligo di meccanicistico esercizio di detta azione per i fatti che dovessero avere dato luogo a responsabilità civile. Pertanto, detta comunicazione comporta esclusivamente il potere-dovere di verificare se dalla stessa siano evincibili gli elementi costitutivi dell’illecito dell’articolo 2, lettera g), decreto legislativo n. 109 del 2006, ovvero di altro illecito disciplinare (nella specie, l’atto di citazione prospettava anche un diniego di giustizia, per ritardo nell’adozione di un provvedimento, escluso, per difetto del requisito della reiterazione di cui all’articolo 2, lettera q) (RG 1139/2019).

Non commette illecito disciplinare, ai sensi dell’articolo 3, lettera b), decreto legislativo n. 109 del 2006, il magistrato che abbia avuto frequentazioni con una persona sottoposta ad intercettazioni telefoniche per traffico di stupefacenti, ma che non abbia trattato alcun procedimento a suo carico, se questi risulti incensurato, non destinatario di misure di prevenzione né dichiarato delinquente professionale, abituale o per tendenza (RG 245/2017).

Non costituisce illecito disciplinare, ai sensi dell`articolo 2, comma 1, lettera d), decreto legislativo n. 109 del 2006, la condotta del magistrato che, fuori udienza, conversando con il difensore di una delle parti su prassi ed accordi in materia di affidamento congiunto della prole, lo inviti “a non dire sciocchezze”, trattandosi di esortazione che, seppure inopportunamente veicolata, non costituisce grave scorrettezza e neppure anticipazione di giudizio, ovvero censura di un’attività difensionale, in quanto formulata in un ambito meramente colloquiale ed estraneo all’udienza (RG 1394/2018).

Il carattere circostanziato della denuncia richiesto dall’articolo 15, comma 1, decreto legislativo n. 109 del 2006, in riferimento alla denuncia di violazione di legge commessa in un giudizio civile, esige la specificità della deduzione degli asseriti errori. Detta specificità sussiste quando l’esponente precisi il punto e il modo in cui il provvedimento denunciato si ponga in contrasto con disposizioni che deve puntualmente indicare, evidenziando la palese difformità dell’esegesi contestata dagli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina. Tali oneri di forma e di contenuto, desumibili dagli articoli 342 c.p.c., con riguardo al ricorso in appello, e 360, primo comma, n. 3, c.p.c., con rifermento al ricorso per cassazione, divengono ancora più stringenti allorché la doglianza disciplinare sia presentata dalla parte personalmente, concerna un provvedimento oggetto di impugnazione e consista, in buona sostanza, in una sollecitazione al controllo e rivisitazione delle proprie tesi al di fuori delle sedi naturali e in violazione del contraddittorio con la controparte, così in palese dicotomia dal paradigma di cui all’articolo 15, comma 1, decreto legislativo 109 del 2006 (RG 620/2018).

L’inesattezza tecnico-giuridica dei provvedimenti assume rilievo disciplinare quando evidenzi scarsa ponderazione, approssimazione, frettolosità o limitata diligenza e, quindi, ai fini della sussistenza del relativo illecito, è insufficiente il riscontro di un errore, occorrendo accertare che lo stesso sia stato determinato da ignoranza o negligenza inescusabile (RG 1267/2017).

Nel comportamento del magistrato (con funzioni di P.M.) che telefona ad una collega P.M. in servizio presso una diversa Procura, chiedendole di parlare e che, poi, si reca nell’ufficio della stessa esponendole i fatti oggetto di una denuncia sporta dalla compagna relativa a vicenda in cui era coinvolto il padre della stessa (dichiarato fallito dal Tribunale di riferimento di detta Procura), non si ravvisano gli elementi di illeciti disciplinari, tenuto conto dell’esposizione del convincimento «in termini del tutto “asettici”», tali da renderla indistinguibile da una richiesta di analogo contenuto che, di regola, può essere sottoposta un qualsiasi interessato al magistrato (1086/2016).

Qualora un magistrato, nel corso di una telefonata (intercettata) con un indagato (non dall’Ufficio requirente della sede in cui egli prestava servizio, peraltro quale magistrato giudicante) pronunci invettive scomposte nei confronti degli inquirenti e della polizia giudiziaria (genericamente indicati), tale condotta è deontologicamente censurabile, ma non integra l’illecito dell’articolo 2, comma 1, lettera d), decreto legislativo n. 109 del 2006. La manifestazione del pensiero di un magistrato, anche quando abbia ad oggetto opinioni relative al comportamento dei soggetti operante in un dato ufficio e non si espliciti attraverso riferimenti individualizzanti (così da integrare il reato dell’articolo 595 c.p., se ne sussistano gli ulteriori elementi costitutivi), non integra detto illecito disciplinare (RG 191/2017).

Ci serviamo ugualmente del commento delle predette massime fatto in quell’articolo, non essendoci venuti in mente motivi per cambiare opinione.

Questa ridotta selezione, comunque alimentata da decisioni conformi a indirizzi consolidati, permette di apprezzare il significato che la Procura generale attribuisce ai parametri che impongono l’archiviazione.

La segnalazione di un possibile illecito disciplinare derivante da un’asserita di violazione di legge è circostanziata solo se contiene la puntuale indicazione delle norme violate e le ragioni della palese difformità dell’esegesi dagli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali. Si pretende dunque, introducendo di fatto un requisito non previsto dalla legge, che l’esponente abbia competenze da giureconsulto o si affidi all’assistenza di un legale e sopporti il costo della sua prestazione professionale.

Né la notizia dell’esercizio di un’azione risarcitoria ai sensi della Legge sulla responsabilità civile dei magistrati né l’accertamento di tale responsabilità comportano l’obbligo dell’azione disciplinare, sebbene la legge disponga nel senso esattamente contrario.

Non è illecito disciplinare frequentare una persona indagata per traffico di stupefacenti.

È consentito al magistrato invitare un difensore a “non dire sciocchezze”, non trattandosi di una grave scorrettezza.

Un provvedimento giudiziario inesatto sotto il profilo tecnico-giuridico è irrilevante disciplinarmente se non si può provare che è stato determinato da ignoranza o negligenza inescusabile, vale a dire due condizioni sostanzialmente impossibili da provare.

Un magistrato del pubblico ministero può lecitamente chiamare un suo collega di altro ufficio, fargli visita ed esporgli l’oggetto di una denuncia fatta dalla sua compagna, purché lo faccia in termini asettici.

Un magistrato può conversare telefonicamente con un indagato e inveire contro colleghi e polizia giudiziaria perché questa condotta è una manifestazione della libertà di espressione di libertà e di pensiero.

Non pare azzardato affermare che queste decisioni si fondano su un’interpretazione decisamente estesa del concetto di scarsa rilevanza e decisamente rigorosa sui parametri della segnalazione circostanziata”.

Finisce così, con questo terzo e ultimo post, la nostra ricerca artigianale e limitata sulla giustizia disciplinare per i magistrati.

A noi sembra che il modo in cui è amministrata sia in più di un caso piuttosto distante dal senso comune.

Siamo convinti che, tanto per dirne una, consentire a un giudice di insolentire un difensore senza che a questo segua anche la più blanda reazione, si risolva in un doppio errore: si legittima e si normalizza l’insolenza come metro di comportamento; si accentua la percezione della magistratura come potere distante e arrogante.

E quindi, se avessimo ragione, visioni del genere si traducono in vittorie di Pirro: portano vantaggio al singolo beneficiario, gettano discredito sull’intero sistema giudiziario. Ma è solo la nostra opinione.