L’imprescindibilità del contraddittorio nell’acquisizione della prova scientifica: tornano di moda Galileo e Popper (di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi)

A chi chieda che rapporto debba avere il sapere giuridico con ciò che ne sta fuori, bisognerebbe probabilmente rispondere che è sbagliato parlare di un rapporto.

Questa è una parola che si usa per intendere una relazione, un legame tra due entità autonome e differenti.

Il diritto invece non è autonomo e non è differente da nulla perché tutto concorre a comporlo.

Se il diritto è l’applicazione di regole ai comportamenti umani ed ha per ciò stesso la necessità di comprenderne la natura, le ragioni e le prospettive ed è per di più condizionato dall’accidente di essere affidato ad altri esseri umani,  deve per forza alimentarsi del comune sapere dei giudici, dei giudicati e di chiunque altro faccia parte della loro stessa comunità.

Sicché il giudice non deve avere un rapporto col sapere scientifico, così come con qualsiasi altra forma di sapere, ma deve piuttosto possederlo come strumento immanente di sé e della sua attività. E se non lo fa, è come se si negasse al mondo, ne ignorasse il divenire, non ne sapesse cogliere a fondo i progressi e gli arretramenti, i vantaggi e i rischi. E finirebbe così per non comprendere più o non comprendere adeguatamente il mondo di cui fa parte, venendone inevitabilmente accantonato prima ed espulso dopo.

Di conseguenza, il giudice che non dispone dei saperi è un non giudice.

Gli spetta naturalmente decidere sulla base di una valutazione autonoma ed autorevole della realtà dentro cui vivono ed operano gli imputati del processo penale o le parti di una controversia civile e la sua decisione deve contenere in sé il sapere necessario per renderla corretta ed accettabile.

Il giudice non dispone tuttavia di chiavi universali e se vuole adempiere bene alla sua funzione è tenuto ad armarsi dell’umiltà necessaria per comprendere che il suo prodotto, quello su cui mette il suo sigillo personale, è in fondo un atto corale in cui si fondono, tutte le volte che sia necessario, esperienze e saperi che non devono appartenergli per mestiere ma di cui il giudice deve conoscere l’esistenza ed apprezzare l’importanza.

Ancora: se il giudice ha bisogno di scienza deve rivolgersi allo scienziato, se ha bisogno di saperi specifici deve consultare coloro che con quei saperi abbiano confidenza: l’ingresso nel diritto di una qualsiasi forma di sapere deve avvenire ad un livello elevato,  controllabile e attendibile e questo è possibile soltanto se l’interprete di quel sapere assicuri un profilo adeguato a ciò che gli si chiede.

Di più: quando al giudizio occorre il sapere scientifico, il metodo migliore per procurarselo è quello della perizia. Non perché siano astrattamente impossibili forme alternative di acquisizione di quel sapere ma perché senza la perizia il giudice e il giudizio sarebbero privati di un elemento essenziale. Si perderebbe infatti il metodo del contraddittorio – tipico dell’accertamento peritale – per mezzo del quale ciascuna parte può partecipare alla formulazione dei quesiti, additare specifiche esigenze, dotarsi di consulenti di parte, formulare osservazioni e obiezioni. Si rinuncerebbe quindi ad una procedura che, al di là dei risultati cui tende, ha un valore in sé perché è espressione di un metodo quanto mai affine a quello della scienza poiché fondato sul confronto e dunque sulla ricerca di una sintesi che sia punto d’incontro di una tesi e di un’antitesi.

Viene in mente il notissimo concetto del filosofo della scienza Karl Popper secondo il quale non è mai possibile essere certi che una teoria scientifica sia giusta. Al più la si può falsificare, dimostrare cioè che è sbagliata e per farlo basta trovare un solo esperimento che la smentisca.

Popper spinse questa sua idea fino a sostenere che una teoria scientifica non falsificabile non è scientifica. In altre parole, per ogni teoria deve essere concepibile almeno un esperimento in grado di dimostrare (ove non dia il risultato previsto) che la teoria stessa è sbagliata.

Così, ad esempio, la teoria gravitazionale di Newton ha sicura natura scientifica perché fa previsioni precise e verificabili: se una sola orbita non corrispondesse ai calcoli, quella teoria sarebbe sbagliata.

Per contro, l’astrologia e qualsiasi altro fenomeno paranormale non sono teorie scientifiche poiché non sono smentibili in base ad esperimenti precisi. Nessuno, tanto per dire, potrebbe smentire un oroscopo il quale predice che in un certo giorno i nati sotto il segno dei Pesci faranno incontri interessanti.

Emerge ancora meglio per questa via il valore del contraddittorio, inteso come metodo partecipato di verifica ed eventuale falsificazione di una tesi sottoposta al giudice.

Ben si inserisce in questo ambito concettuale una recente decisione della quarta sezione penale della Corte di cassazione, precisamente la sentenza n. 30816/2022.

Per ciò che qui interessa, la difesa di un imputato ha eccepito la violazione del contraddittorio e del diritto di difesa poiché, essendo stata disposta perizia nel giudizio di appello, avendo nominato propri consulenti tecnici di parte ed avendo chiesto la loro audizione, questa era stata negata sul presupposto che essi consulenti non avevano né sollecitato il perito a compiere particolari attività né censurato il suo operato sicché era superfluo il loro esame.

Il collegio di legittimità ha premesso che “Il tema del contraddittorio nella prova scientifica è stata oggetto di difformi orientamenti di questa Corte di legittimità. Secondo l’affermazione rimasta a lungo prevalente il giudice, dopo l’esame del perito, è tenuto ad integrare il contraddittorio con l’esame del consulente tecnico di parte solo qualora questi abbia assunto iniziative di sollecitazione e di contestazione rispetto all’attività peritale ed ai relativi esiti (Sez. 1, n. 54492 del 05/04/2017, Perillo, Rv. 271899; Sez. 6, Sentenza n. 27928 del 01/04/2014, Cappelli, Rv. 261641; Sez. 5, Sentenza n. 35468 del 04/06/2003, Stefani, Rv. 225810; Sez. 1, Sentenza n. 11867 del 26/10/1995, Ceccherelli, Rv. 203247) ciò, evidentemente, sulla scorta dell’assunto che l’assenza della critica sulla metodologia peritale e suoi risultati rende superfluo l’ascolto di un’opinione non difforme, essendo proprio l’iniziativa di sollecitazione o di contestazione ad imporre l’integrazione del contraddittorio”.

Ha tuttavia di seguito ricordato che “Una più recente pronuncia (Sez. 2, n. 19134 del 17/03/2022, Di Noia, Rv. 283187), ha preferito inquadrare la questione anche alla luce del diritto convenzionale, oltre che di quello costituzionale, è giunta a conclusioni diverse. Il ragionamento, che individua i momenti della scansione della formazione della prova scientifica, muove dalla considerazione, sinanco scontata, che il contraddittorio deve essere garantito in tutte le fasi. Il principio si ricava, infatti, non solo dall’art. 111 Cost., ma dal disposto dell’art. 6 art. 6 § 1 della Convenzione EDU, sulla parità delle armi, che impone di offrire all’accusato la possibilità di contrastare le tesi del tecnico del giudice o dell’altra parte attraverso la tesi veicolata nel processo dal proprio consulente. Si tratta di un enunciato che viene rinvenuto dalla sentenza richiamata, da un lato, nella decisione della CEDU nel caso Matytsina v. Russia (27 aprile 2014) che ha identificato la lesione del contraddittorio proprio nella mancata acquisizione delle prove tecniche di parte e, segnatamente, nella mancata escussione degli esperti dell’accusa dei quali era stata acquisita la relazione, dall’altro nella decisione del caso Mantovanelli v. Francia (18 marzo 1997) che ha ritenuto l’iniquità del processo e la violazione dell’art. 6 § 1, perché ai ricorrenti non era stato consentito di partecipare alle operazioni peritali extraprocessuali, sviluppatesi attraverso l’audizione di persone in possesso di informazioni decisive.

Su questa premessa la Corte di legittimità ritiene di dover ‘aggiornare’ il precedente orientamento “nella parte in cui legittima l’omesso esame del tecnico di parte nei casi in cui questo non abbia tenuto un atteggiamento reattivo nel corso delle operazioni peritali”, osservando che “la tutela del diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica assuma una configurazione più complessa di quella del semplice diritto al controesame, che connota la prova dichiarativa e si invera nel costante confronto tra tecnico d’ufficio e consulenti di parte che deve essere tutelato dalla fase del conferimento dell’incarico, durate lo svolgimento delle operazioni peritati, fino alla esposizione in contradditorio dibattimentale dei pareri. Di contro, non si rinviene alcuna ragione, invero, che legittimi il condizionamento dell’audizione del tecnico di parte – ove richiesta – ad una partecipazione “reattiva” e non acquiescente alle operazioni extra-dibattimentali: non è insolito infatti che i tecnici che rappresentano gli interessi delle parti condividano il metodo proposto dal perito e, dunque, non si oppongano all’uso dello stesso, pur avendo opinioni diverse quanto alle valutazioni finali, espresse nella relazione. Non consentire alla parte che lo richiede che il proprio tecnico esprima in contraddittorio le ragioni del dissenso sulle conclusioni del perito, denegando l’esame sulla base della acquiescenza mostrata nel corso delle operazioni peritati, integra invece una lesione del diritto di difesa, dato che si impedisce alla parte di ‘contraddire’ una prova sfavorevole con le armi disponibili, che nel caso della prova scientifica si traducono nella veicolazione nel processo di un parere tecnico antagonista”. Così conclude che “il diritto al contraddittorio deve essere tutelato in tutte le fasi che caratterizzano la formazione della prova scientifica: dunque sia nella fase del conferimento dell’incarico attraverso la formulazione del quesito, che nel corso delle operazioni peritati extra-dibattimentali (che devono essere svolte garantendo la partecipazione dei tecnici di parte), che, infine, attraverso l’ ammissione dell’esame del perito e dei tecnici, cui segue l’acquisizione degli elaborati scritti, ai sensi dell’art. 511 comma 3 cod. proc. pen. Affinché la tutela di tale diritto sia effettiva i tecnici di parte devono (a) avere la possibilità di presenziare al conferimento dell’incarico ed alla formulazione del quesito, (b) essere posti nelle condizioni partecipare alle operazioni tecniche, (c) se la parte lo chiede, devono essere esaminati in contraddittorio nel dibattimento (o nell’incidente probatorio peritale), nulla rilevando che la loro partecipazione alle operazioni peritati non sia stata ‘reattiva’, ovvero caratterizzata dalla proposizione di specifiche critiche nei confronti del metodo proposto ed utilizzato. Tale interpretazione, oltre ad essere coerente con la tensione verso la massima tutela del diritto al contraddittorio, che si ricava sia dalla Costituzione che dalla Convenzione di Roma, trova conforto anche nel tessuto codicistico, tenuto conto che: (a) l’art. 230 cod. proc. pen. riconosce ai consulenti di parte il diritto ad assistere al conferimento dell’incarico ed a partecipare attivamente allo stesso, presentendo al giudice richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale; (b) lo stesso articolo riconosce ai consulenti il diritto a ‘partecipare’ alle operazioni peritati, “anche” – e ‘non solo’ – attraverso la proposizione di specifiche indagini, osservazioni e riserve; (c) l’art. 468 cod. proc. pen. facoltizza le parti ad inserire in lista i consulenti e ad ottenerne l’esame, anche attraverso la presentazione diretta in dibattimento. Peraltro il diritto al contraddittorio nella formazione della prova scientifica è tutelato anche dalla previsione del diritto a nominare consulenti tecnici “dopo l’esaurimento delle operazioni peritali” (art. 230, comma 3 e 233 comma i cod. proc. pen.): norma che risulta incompatibile con la contrazione della tutela delle prerogative del consulente di parte endo-peritale. Si tratta di una griglia di tutela, che all’evidenza sostiene tutto l’iter di formazione della prova scientifica (e si dipana anche “oltre” con la previsione del diritto alla nomina di consulenti extra-peritali). E che non appare compatibile con la limitazione del diritto all’esame del consulente di parte nei soli casi in cui questi, nel corso delle operazioni peritali, abbia manifestato il suo parere contrario al metodo proposto e in concreto utilizzato” (Sez. 2, n. 19134 del 17/03/2022, Di Noia, Rv. 283187, in motivazione)”.

 Il collegio della quarta sezione ha condiviso integralmente questo nuovo indirizzo poiché “solo il pieno accesso alla contraddizione, in qualunque momento, consente la piena difesa e la ‘parità delle armi’ che tocca al giudice assicurare a tutti coloro che partecipano al processo, ed in primis all’imputato. Nel caso di specie la Corte territoriale ha mancato di adempiere a siffatto fondamentale compito rimessogli dall’ordinamento, perché non solo non ha provveduto all’esame dei consulenti tecnici, il cui contributo era già stato sacrificato dai tempi di consultazione in sede extraprocessuale (ancorché ciò non dia luogo ad alcuna nullità), dopo avere esaminato il perito in sede dibattimentale, ma neppure ne ha considerato l’apporto scientifico al momento della decisione, pretermettendo del tutto il confronto con le loro conclusioni”.

La sentenza impugnata è stata pertanto annullata senza rinvio, essendosi nel frattempo estinto per prescrizione il reato contestato al ricorrente.

Che altro dire? Solo che questa decisione contribuisce a ripristinare garanzie partecipative doverose che indirizzi interpretativi ben più che discutibili avevano eroso nel tempo. Bene così.