La banca dati Italgiure contiene l’archivio delle decisioni della Corte di cassazione.
Nella versione ad accesso libero permette la consultazione delle decisioni delle sezioni civili e penali dell’anno in corso e del quinquennio precedente. Sono consentite due modalità di ricerca: parole o numero/anno e riferimenti normativi.
Italgiure assolve egregiamente alle esigenze degli utenti ma, per una sorta di eterogenesi dei fini, consente viaggi e percorsi probabilmente non immaginati dai suoi creatori.
Oggi raccontiamo uno di questi viaggi.
C’è un tale AA (come di regola indichiamo solo le iniziali dell’interessato a tutela della sua riservatezza) a nome del quale risultano depositati ben 688 ricorsi tra il 2017 e questo scorcio di 2022.
Non possiamo dirlo con certezza ma riteniamo probabile che sia un record.
Completiamo la presentazione dicendo che AA è un detenuto sottoposto al regime dell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario.
Nell’impossibilità di leggere e analizzare tutte le decisioni, ci siamo limitati a quelle depositate nel 2022 che ad oggi sono in numero di 68.
La prima e più elementare analisi spettrale ci fa comprendere che AA è un ricorrente seriale contro provvedimenti emessi dalla magistratura di sorveglianza.
La seconda è che ha impugnato provvedimenti emessi da magistrati di sorveglianza di ogni parte d’Italia e cioè, in ordine alfabetico, Ancona, Cuneo, Macerata, Milano, Novara, Parma, Reggio Emilia, Roma, Sassari, Torino, Trieste e Udine. Ora, poiché l’art. 677, comma 1, cod. proc. pen., sancisce che “La competenza a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza appartiene al tribunale o al magistrato di sorveglianza che hanno giurisdizione sull’istituto di prevenzione o di pena in cui si trova l’interessato all’atto della richiesta, della proposta o dell’inizio di ufficio del procedimento”, possiamo sostenere senza timore di essere smentiti che AA è un pendolare carcerario altrettanto seriale.
Diamo adesso un’occhiata alle ragioni di ricorso.
AA si è lamentato, in mezzo al resto, di censura non autorizzata della sua corrispondenza, dell’omessa richiusura mediante spillatura della sua corrispondenza dopo il controllo censorio, del tempo di permanenza concessogli nella sala computer, di essere stato costretto a trascorrere solitariamente il tempo del passeggio all’aria, di essere stato perquisito prima di tale passeggio con la modalità a piedi alzati (dal ricorso sembrerebbe che si sia lamentato di essere stato costretto ad alzare i piedi con le stesse modalità che userebbe un maniscalco per ferrare un cavallo), del rigetto ingiustificato della sua istanza di allegare un CD contenente documentazione a supporto di suoi reclami (motivo, questo, utilizzato in più ricorsi e argomentato su differenti circostanze di fatto: perché, essendo collegato da remoto all’udienza ed essendosi manifestati problemi audio, il giudice non aveva sentito la sua richiesta e non aveva neanche posto rimedio dopo la sua successiva segnalazione; perché il direttore del carcere gli aveva negato la trasmissione del CD a spese dello Stato oppure perché non gli aveva permesso di spedirlo a sue spese); perché gli era stato vietato lo scambio di libri con altri detenuti; perché, dopo avere scambiato libri, era stato sanzionato disciplinarmente per comunicazione non verbale non autorizzata; perché era stato sanzionato disciplinarmente per scambio non autorizzato di cibi, avendo lanciato dalla sua cella una fetta di torta verso la cella di un altro detenuto; perché gli era stato impedito di usare una sedia con schienale; perché gli era stata sequestrata una forbicina (verosimilmente di quelle minuscole a punta arrotondata che all’esterno sono usate soprattutto dalle mamme per tagliare le unghie ai neonati); per la mancata ammissione al patrocinio a spese dello Stato (nella maggior parte dei casi contestando che il rigetto era avvenuto a causa delle dichiarazioni non riscontrate di un collaboratore di giustizia che lo aveva accusato di essere stipendiato anche in carcere dalla cosca di appartenenza e lamentando che non erano stati tenuti in considerazione i documenti che provavano che la madre gli spediva un vaglia mensile).
Aggiungiamo che in un certo numero di casi i ricorsi di AA tendevano ad ottenere l’avvio di una procedura di ottemperanza per costringere l’amministrazione penitenziaria ad uniformarsi a decisioni giudiziarie favorevoli ad AA e alcuni di essi sono stati rigettati per difetto di attualità del pregiudizio, essendo stato il detenuto trasferito in altro istituto nelle more del giudizio.
È ora di concludere.
La Cassazione ha parlato e dato che ha sempre ragione perché parla per ultima non ci metteremo a disquisire sulle sue decisioni.
Riteniamo altamente probabile che l’iperattività di AA sia causata dalla sua iperreattività: molte delle decisioni che abbiamo letto dimostrano che è uno a cui salta immediatamente la mosca al naso.
Ma, a parte questa considerazione ovvia, la storia di AA nell’interezza del suo rapporto con le istituzioni carcerarie e nei riflessi della sua condizione di detenuto al 41-bis evidenzia plurime anomalie.
La prima: le frequenti sanzioni disciplinari inflitte ad AA e le relazioni sulle quali i giudici di sorveglianza fondano le loro decisioni di rigetto dimostrano che le direzioni penitenziarie lo considerano un pericoloso agitatore in grado di sobillare altri detenuti. Esemplare in tal senso è la sanzione, risultante da uno dei tanti ricorsi, inflittagli per avere passato ad un altro detenuto il modulo per presentare un reclamo.
La seconda: gli altrettanto frequenti trasferimenti sembrano dunque dovuti principalmente all’intento di impedire al contestatore seriale di radicarsi in un istituto e di propagare col suo esempio la tendenza alla contestazione delle autorità carcerarie.
La terza: i trasferimenti, anche se oggettivamente, frustrano almeno alcuni dei pur rari successi giudiziari di AA, impedendo di fatto che abbiano immediata esecuzione e costringendolo a riavviare altri faticosi iter per ottenere ciò che gli è stato negato illegittimamente.
La quarta: non possediamo dati dai quali desumere quali attività trattamentali siano praticate a beneficio della rieducazione di AA per avviarlo verso percorsi virtuosi di riconoscimento del valore della legalità. Non possiamo quindi affermare che le possibilità offerte ad AA non rispettino gli standard previsti. Sappiamo però, dalla lettura delle decisioni, che è stato costretto a battaglie infinite, dopo che, ad esempio, ha ottenuto l’autorizzazione all’uso del computer, per ottenere anche l’autorizzazione a stampare copie dei documenti elaborati col computer. E sappiamo pure, sempre attraverso la medesima lettura, che ha battagliato ugualmente e senza successo, perché nel tempo concessogli per la permanenza nel locale adibito a sala computer, non fosse computato anche quello dell’ispezione (che si immagina lunga e minuziosa) dei supporti informatici di cui si serviva il detenuto.
Pensiamo quindi di poter concludere che un po’ più di buon senso e un po’ meno di formalismo potrebbero forse concorrere a diminuire le sopravvenienze della Cassazione.
