Dichiarazioni sostitutive su iscrizioni nel casellario giudiziale: non devono essere inserite le condanne per le quali è stata concessa la non menzione (Vincenzo Giglio)

Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 24346/2024, 21 febbraio/20 giugno 2024, ha chiarito che non integra il delitto di falsità ideologica commesso da privato in atto pubblico la condotta di colui che, nel sottoscrivere una dichiarazione di atto notorio, ometta di indicare le iscrizioni relative a condanne definitive, delle quali sia stata ordinata la non menzione nel certificato penale, valendo ciò sia per la domanda di iscrizione nell’albo professionale, caso cui si riferisce la massima riportata, sia per la vicenda per cui si procede, relativa come detto alle domande finalizzate all’inserimento delle graduatorie finalizzate all’inserimento delle graduatorie scolastiche e alle dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio riferite ai contratti di supplenza.

Provvedimento impugnato

Con sentenza del 30 novembre 2020, il Tribunale condannava GF alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi 3 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, in relazione all’art. 483, cod. pen., reato a lui contestato perché, nelle domande di aggiornamento presentate all’Ufficio XXX per l’inserimento nelle graduatorie permanenti del personale amministrativo, tecnico e ausiliario XXX, nonché nei contratti XXX, rilasciava dichiarazioni mendaci attestando, contrariamente al vero, di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale; fatto commesso dal XXX al XXX.

Con sentenza del 13 aprile 2023, la Corte di appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di GF in ordine alle contestazioni relative agli anni dal XXX al XXX, perchè estinte per prescrizione e, per l’effetto, in ordine ai residui fatti di cui agli anni XXX, rideterminava la pena a suo carico in mesi 1 di reclusione, confermando nel resto la decisione del Tribunale.

Ricorso per cassazione

Avverso la sentenza della Corte di appello, GF, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.

Con il primo motivo, la difesa deduce l’inosservanza dell’art. 28, comma 8, del d.P.R. n. 313 del 2002, come modificato dal d. Igs. n. 122 del 2 ottobre 2018, evidenziando che, a seguito della predetta modifica, colui che rende dichiarazioni sostitutive relative all’esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui al comma 7, nonché di cui all’art. 24, comma 1, ossia le condanne per cui vi sia stata la concessione del beneficio della non menzione, come è avvenuto in relazione alla condanna riportata dal ricorrente con sentenza del Tribunale XXX, relativa alla violazione delle norme sull’obiezione di coscienza.

In definitiva, come era stato dedotto in sede di conclusioni, ciò che non risulta dal casellario giudiziale non va dichiarato dal privato in un’autocertificazione a sua firma, per cui, in applicazione del principio ex art. 2, comma 2, cod. pen., GF doveva essere assolto, stante l’intervenuta abolitio criminis.

Con il secondo motivo, è stata eccepita di nuovo l’inosservanza dell’art. 28 del d.P.R. n. 313 del 2002, rimarcando l’insussistenza dell’elemento soggettivo, avendo l’imputato agito in perfetta buona fede, non ritenendo obbligatorio indicare una condanna di 36 anni prima, oggetto di indulto e non menzione.

Decisione della Suprema Corte

Il ricorso è fondato.

Preliminarmente, al fine di circoscrivere l’ambito valutativo del presente giudizio, appare utile una sintetica ricostruzione dell’odierna vicenda fattuale che, nei suoi passaggi essenziali, non risulta invero contestata, essendo invece controversa la sola qualificazione giuridica della condotta dell’imputato.

Dunque, dalla lettura delle due conformi sentenze di merito emerge che GF, nelle domande per l’inserimento nelle graduatorie provinciali del personale XXX relative agli anni XXX, nella Sezione G, al punto C, dichiarava di “non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziario ai sensi della vigente normativa“.

Analoga attestazione veniva rilasciata nelle dichiarazioni sostitutive di certificazione allegate ai contratti XXX sottoscritti dall’imputato XXX per gli anni dal 2011 al 2017.

Tali dichiarazioni, secondo l’impostazione accusatoria recepita dai giudici di merito, sarebbero mendaci, in quanto GF era stato condannato in via definitiva dal Tribunale militare con sentenza di anni 1 di reclusione, per violazione delle norme sull’obiezione di coscienza, con concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, pena successivamente condonata, avendo poi l’imputato conseguito la riabilitazione con decreto del Tribunale di Sorveglianza.

Proprio l’esistenza del provvedimento di riabilitazione avrebbe confermato la consapevolezza da parte dell’imputato della condanna emessa a suo carico.

Orbene, tanto premesso, deve escludersi, a differenza di quanto sostenuto dai giudici di merito, che il comportamento del ricorrente sia suscettibile di essere inquadrato nella fattispecie di cui all’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000.

In proposito, si ritiene infatti di dover dare continuità alla condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 5, n. 305 del 20/09/2021, dep. 2022, Rv. 282641), secondo cui non integra il delitto di falsità ideologica commesso da privato in atto pubblico la condotta di colui che, nel sottoscrivere una dichiarazione di atto notorio, ometta di indicare le iscrizioni relative a condanne definitive, delle quali sia stata ordinata la non menzione nel certificato penale, valendo ciò sia per la domanda di iscrizione nell’albo professionale, caso cui si riferisce la massima riportata, sia per la vicenda per cui si procede, relativa come detto alle domande finalizzate all’inserimento delle graduatorie XXX.

Deve infatti rilevarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 175, cod. pen., “se, con una prima condanna, è inflitta una pena detentiva non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a euro 516, il giudice, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, può ordinare in sentenza che non sia fatta menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati, non per ragione di diritto elettorale“. Tale disposizione, a contrario, fa ritenere che la non menzione non riguardi i certificati chiesti dalla pubblica amministrazione: questa esegesi è rafforzata dal coordinamento con il testo del previgente (fino a marzo 2003) dell’art. 688, comma 1, cod. proc. pen., per cui “ogni organo avente giurisdizione penale ha il diritto di ottenere, per ragioni di giustizia penale, il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona. Uguale diritto appartiene a tutte le amministrazioni pubbliche e agli enti incaricati di pubblici servizi, quando il certificato è necessario per provvedere a un atto delle loro funzioni, in relazione alla persona cui il certificato stesso si riferisce“.

L’insieme delle due norme fa concludere che, allorché le pubbliche amministrazioni avevano necessità di un certificato quali quello in discussione, per provvedere a un atto delle loro funzioni, avevano il diritto di conoscere se la persona interessata avesse o meno riportato una condanna definitiva; dunque, la non menzione riguardava solo i certificati chiesti dai privati. Tale normativa è, però, notevolmente mutata con l’introduzione del d.P.R. n. 313 del 2002, che, con l’art. 52, ha abrogato, fra gli altri, l’art. 688, cod. proc. pen.

La norma di riferimento è quindi quella di cui all’art. 28 del citato d.P.R., la quale stabilisce che “le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi hanno il diritto di ottenere i certificati di cui all’articolo 23 e all’articolo 27, relativo a persone maggiori di età, quando tale certificato è necessario per l’esercizio delle loro funzioni“.

Rispetto a quanto previsto dall’abrogato art. 688, cod. proc. pen., è venuta dunque meno l’equiparazione tra la pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi, da un lato, e “ogni organo avente giurisdizione penale”, che “ha il diritto di ottenere, per ragioni di giustizia penale, il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona”.

L’attuale normativa mantiene, dunque, solo in capo all’Autorità giudiziaria il potere, per ragioni di giustizia, di acquisire dal sistema il certificato di tutte le iscrizioni esistenti riferite a un determinato soggetto, senza i limiti della non menzione di cui all’art. 175 cod. pen., mentre riconosce alla pubblica amministrazione e ai gestori di pubblici servizi il potere di ottenere soltanto “i certificati di cui all’articolo 23 e all’articolo 27”, cioè il certificato generale di cui all’art. 24, quello penale di cui all’art. 25, il certificato civile di cui all’art. 26 e quello dei carichi pendenti di cui all’art. 27: sia l’art. 24 che l’art. 25 escludono, però, in modo espresso, che, nei certificati rispettivamente disciplinati, siano riportate, oltre alle “condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione nel certificato a norma dell’articolo 175, del codice penale, purché il beneficio non sia stato revocato”, anche quelle per le quali “è stata dichiarata la riabilitazione, senza che questa sia stata in seguito revocata” e “i provvedimenti previsti dall’articolo 445, del codice di procedura penale, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o con giunti a pena pecuniaria, e i decreti penali”.

Ora, alla stregua della ricostruzione di tale assetto normativo, deve ritenersi che il ricorrente, nel momento in cui ha redatto le domande di inserimento nelle graduatorie provinciali e le dichiarazioni sostitutive dell’atto notorio, non era tenuto a dichiarare nulla di più di quanto sarebbe risultato dal certificato penale che avrebbe potuto essere rilasciato al privato o alla pubblica amministrazione, dovendosi ribadire che, rispetto all’unica condanna pre g ressa emessa a suo carico, era stato riconosciuto il beneficio ex art. 175, cod. pen.

Dunque, non essendo stato revocato il beneficio della non menzione concesso con la condanna inflitta all’imputato, le dichiarazioni per cui si è proceduto non possono essere ritenute false, in quanto la condanna subita non era suscettibile di dover essere comunicata alla P.A. con cui il ricorrente stava interloquendo.

Ne consegue che il reato contestato non può ritenersi configurabile, stante l’assenza dell’immutatio veri che ne presuppone l’esistenza, per cui la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste.

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