Nei giorni scorsi ho pubblicato un post su una decisione della Suprema Corte, precisamente Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 38152/2023, 11 luglio/18 settembre 2023, che ha escluso per coloro che rendono dichiarazioni sostitutive su iscrizioni a loro carico nel casellario giudiziario l’obbligo di menzionare le sentenze di patteggiamento a pena detentiva non superiore a due anni (a questo link per la consultazione del post).
Nel successivo dibattito sulle piattaforme social ho dichiarato che non mi risultavano decisioni conformi precedenti o successive.
L’interesse suscitato dalla pronuncia della quinta sezione penale e il suo oggettivo rilievo pratico per una vasta platea di interessati mi hanno spinto ad affinare la ricerca e ho trovato tre ulteriori pronunce esattamente in termini, alle quali si affianca Cassazione penale, Sez. 2^, n. 37556 del 30/04/2019, Del Giudice, Rv. 27707901, richiamata adesivamente dalla prima di esse.
La prima è Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 1966/2021, 18 novembre 2020, 18 gennaio 2021, relativa a un procedimento in cui al ricorrente era stato contestato il reato di cui all’art. 483, cod. pen., con riferimento all’art. 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, per avere falsamente attestato ai pubblici ufficiali della Prefettura di non avere riportato condanne penali in Italia, laddove, al contrario, risultava essere stato condannato nel 2006 per guida in stato di ebbrezza.
Nell’occasione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’interessato avverso la sentenza della Corte territoriale di conferma della condanna, osservando quanto segue:
“Il testo attualmente vigente del d.P.R. 14/11/2002, n. 313 – quale risultante per effetto delle modifiche introdotte dal d. Igs. 02/10/2018, n. 122 e invocato dal ricorrente – prevede: a) quanto all’art. 24, comma 1, dedicato al certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato, che nel certificato sono riportate le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative: […] lett. e) ai provvedimenti previsti dall’art. 445 cod. proc. pen., quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, e ai decreti penali; b) quanto all’art. 28, comma 8, che l’interessato il quale, a norma degli articoli 46 e 47 del d.P.R. 28/12/2000, n. 445, renda dichiarazioni sostitutive relative all’esistenza nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui al comma 7 – non rilevanti nel presente procedimento – nonché di cui all’articolo 24, comma 1 sopra ricordato.
Ora, con riguardo allo specifico procedimento relativo alla concessione della cittadinanza, nel quale si colloca la dichiarazione di cui al presente processo, l’art. 9, comma 1, lett. f) della I. 05/02/1992, n. 91, prevede che la cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.
L’art. 1, comma 3, del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 362, contenente il regolamento attuativo della I. n. 91 del 1992, dispone che l’istanza per l’acquisto o la concessione della cittadinanza italiana, di cui all’articolo 7 ed all’articolo 9 della I. n. 91 del 1992, deve essere corredata, tra l’altro, dal certificato penale dell’autorità giudiziaria italiana.
È a tale previsione che si raccorda la dichiarazione de qua, predisposta, in sostituzione della normale certificazione, ai sensi dell’art. 46, comma 1, lett. aa) del d.P.R. n. 445 del 2000. Dalle superiori considerazioni discende che – impregiudicati gli accertamenti operati dall’amministrazione di competenza – il dovere di verità che grava sul dichiarante non può che correlarsi al contenuto del certificato che egli avrebbe dovuto produrre. Con riguardo ad una vicenda in cui, come nella specie, la dichiarazione è stata resa prima della novella operata dal d. Igs. n. 122 del 2018 – ma traendo da quest’ultima elementi di conferma della conclusione raggiunta – si è ritenuto che non integra il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, la condotta di colui che in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio – come disciplinata dall’art. 46, comma 1, lett. aa), d.P.R. 20 dicembre 2000, n. 445, nel testo previgente all’ultima modifica – dichiari di non aver riportato condanne penali, ancorché destinatario di sentenza di applicazione della pena su richiesta, poiché il dichiarante non è tenuto a riferire nulla di più di quanto risulti dal certificato penale (Sez. 2, n. 37556 del 30/04/2019, Del Giudice, Rv. 27707901). E, in effetti, anche a prescindere dal novellato comma 8 dell’art. 28 del d.P.R. n. 313 del 2002, avendo riguardo alla normativa vigente all’epoca dei fatti (24/03/2015): a) ai sensi dell’art. 24, comma 1, rimasto identico, per quanto rileva, nel certificato generale richiesto dall’interessato sono riportate le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative […] ai provvedimenti previsti dall’art. 445 cod. proc. pen. e si decreti penali; c) ai sensi dell’art. 25, oggi abrogato, il certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato riportava le iscrizioni esistenti nel casellario giudiziale ad eccezione di quelle relative […] ai provvedimenti previsti dall’art. 445 cod. proc. pen. e ai decreti penali.
Ne discende che nessun dovere di dichiarare l’esistenza di siffatte condanne gravava sull’interessato.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste”.
La seconda è Cassazione penale, Sez. 5^, sentenza n. 305/2022, 20 settembre 2021/10 gennaio 2022, relativa ad un procedimento nel quale al ricorrente era stato contestato il reato di cui all’art. 483, cod. pen., per avere falsamente dichiarato, all’atto della iscrizione nell’albo dei geometri, di non avere riportato condanne penali, per errore sul fatto conseguente al rilascio, su richiesta del ricorrente, di un certificato penale privo di indicazioni a carico, in cui si afferma quanto segue:
“l’art. 175 cod. pen. dispone che “se, con una prima condanna, è inflitta una pena detentiva non superiore a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore a euro 516, il giudice (…) può ordinare in sentenza che non sia fatta menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati (…)”. A contrario, tale disposizione fa ritenere che la non menzione non riguardi i certificati chiesti dalla pubblica amministrazione: questa esegesi è rafforzata dal coordinamento con il testo del previgente (fino a marzo 2003) dell’art. 688, co. 1 cod. proc. pen., per il quale “ogni organo avente giurisdizione penale ha il diritto di ottenere, per ragioni di giustizia penale, il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona. Uguale diritto appartiene a tutte le amministrazioni pubbliche e agli enti incaricati di pubblici servizi, quando il certificato è necessario per provvedere a un atto delle loro funzioni, in relazione alla persona cui il certificato stesso si riferisce”. L’insieme delle due norme fa concludere che, allorché le pubbliche amministrazioni avevano necessità di un certificato quali quelli in discussione, per provvedere a un atto delle loro funzioni, avevano il diritto di conoscere se la persona interessata avesse o meno riportato una condanna definitiva; dunque, la non menzione riguardava solo i certificati chiesti dai privati. Tale normativa è, però, notevolmente mutata con l’introduzione del D.P.R. n. 313/2002, che, con l’art. 52, ha abrogato, fra gli altri, l’art. 688 cod. proc. pen. La norma di riferimento è oggi, quella di cui all’art. 28 del citato D.P.R., la quale stabilisce che “le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi hanno il diritto di ottenere i certificati di cui all’articolo 23 e all’articolo 27, relativo a persone maggiori di età, quando tale certificato è necessario per l’esercizio delle loro funzioni”. Rispetto a quanto previsto dall’abrogato art. 688 cod. proc. pen., è venuta meno l’equiparazione tra la pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi, da un lato, e “ogni organo avente giurisdizione penale”, che “ha il diritto di ottenere, per ragioni di giustizia penale, il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome di una determinata persona”. L’attuale normativa mantiene, dunque, solo in capo all’autorità giudiziaria – art. 21 co. 1 D.P.R. citato – il potere, per ragioni di giustizia, di acquisire dal sistema il certificato di tutte le iscrizioni esistenti riferite a un determinato soggetto, senza i limiti della non menzione di cui all’art. 175 cod. pen.; mentre, riconosce alla pubblica amministrazione e ai gestori di pubblici servizi il potere di ottenere soltanto “i certificati di cui all’articolo 23 e all’articolo 27”, cioè il certificato generale di cui all’art. 24, quello penale di cui all’art. 25, il certificato civile di cui all’art. 26 e quello dei carichi pendenti di cui all’art. 27: sia l’art. 24 che l’art. 25 escludono, però, in modo espresso, che, nei certificati rispettivamente disciplinati, siano riportate, oltre alle “condanne delle quali è stato ordinato che non si faccia menzione nel certificato a norma dell’articolo 175, del codice penale, purché il beneficio non sia stato revocato”, anche quelle per le quali “è stata dichiarata la riabilitazione, senza che questa sia stata in seguito revocata” e “i provvedimenti previsti dall’articolo 445, del codice di procedura penale, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, e i decreti penali”.
Dall’insieme di tali disposizioni si ricava che, allorché il ricorrente redigeva la dichiarazione con l’atto sostitutivo di atto notorio, non era tenuto a dichiarare nulla di più di quanto sarebbe risultato dal certificato penale, quello che avrebbe potuto essere rilasciato al privato o alla pubblica amministrazione.
Tale ricostruzione esegetica è ora espressamente confermata dalla nuova versione dell’art. 28 co. 8 D.P.R. citato, introdotto successivamente ai fatti per cui vi è giudizio: “L’interessato che, a norma degli articoli 46 e 47 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, rende dichiarazioni sostitutive all’esistenza, nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui (…) all’articolo 24 comma 1”. Dunque, non è tenuto a indicare le iscrizioni riguardanti le sentenze di patteggiamento, con pena contenuta nel limite di due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, né quelle che siano state inflitte con decreto penale di condanna”.
La terza è Cassazione penale, Sez. 3^, sentenza n. 20838/2024, 9/28 maggio 2024, relativa a un procedimento nel quale al ricorrente era stato contestato il reato ex art. 76, DPR n. 445/2000, in cui si legge quanto segue:
“L’attuale versione dell’art. 28, comma 8, d.P.R. n. 313/2002, prevede che «l’interessato che, a norma degli articoli 46 e 47 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, rende dichiarazioni sostitutive all’esistenza, nel casellario giudiziale di iscrizioni a suo carico, non è tenuto a indicare la presenza di quelle di cui (…) all’articolo 24 comma 1». Dunque, non è tenuto a indicare le iscrizioni riguardanti le sentenze di patteggiamento, con pena contenuta nel limite di due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, né quelle che siano state inflitte con decreto penale di condanna (v. Cass. Sez. 2, n. 305 del 20/09/2021, dep. 2022, Trezza, Rv. 282641 – 01; Sez. 2, n. 37556 del 30/04/2019, Del Giudice, Rv. 277079 – 01). È quanto accaduto nel presente processo, avendo, il ricorrente concordato l’applicazione della pena con doppi benefici”.
È chiaro a questo punto che, contrariamente alla mia errata indicazione iniziale, non di pronunce isolate si tratta ma di un indirizzo interpretativo affacciatosi fin dal 2019 con la decisione Del Giudice e di seguito costantemente confermato.
