La Cassazione civile sezione 3 con l’ordinanza numero 33810 del 23 dicembre 2025 (allegata al post) ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici e che si presenta di massima di particolare importanza, relativa alla necessità, per il convenuto che intenda proporre una domanda nei confronti di altro soggetto, a sua volta convenuto nel medesimo processo, di chiedere al giudice lo spostamento della prima udienza, sulla falsariga di quanto prescritto dall’art. 269, comma 2, c.p.c. per la chiamata in causa del terzo.
Secondo un primo avviso, di più risalente elaborazione, il convenuto che intenda formulare una domanda nei confronti di altro convenuto non ha l’onere di chiedere il differimento dell’udienza previsto dall’art. 269 cod. proc. civ. per la chiamata in causa di terzo, essendo invece sufficiente che formuli la suddetta domanda nei termini e con le forme stabilite dall’art. 167, secondo comma, cod. proc. civ. per la domanda riconvenzionale.
Da ultimo, l’indirizzo è stato ribadito da Cass. 23/03/2022, n. 9441 (Rv. 664567-01), in ordine ad una domanda proposta da un convenuto nei confronti di un terzo chiamato in causa ad opera di altro convenuto: in tale fattispecie, questa Corte ha ritenuto che la proposizione di siffatta domanda, qualificata riconvenzionale, non esigesse le forme prescritte per la chiamata in causa del terzo «per l’evidente ragione – a tacer d’altro – che è fuori luogo discorrere di “chiamata in causa” rispetto ad un soggetto che è già parte del giudizio».
Nella più recente giurisprudenza di legittimità si rinvengono tuttavia pronunce che subordinano l’ammissibilità della domanda proposta da un convenuto verso un altro convenuto al rispetto delle forme prescritte per la chiamata in causa del terzo, cioè a dire la tempestiva istanza di differimento dell’udienza e la notificazione di un atto di citazione nell’osservanza del termine minimo a comparire. In questo senso, Cass. 15/02/2011, n. 8315, non massimata, ha affermato che il convenuto, laddove intenda proporre una domanda nei confronti di altro convenuto, fondata su un titolo del tutto diverso da quello dedotto in giudizio dall’attore, non possa procedere nelle forme di una semplice domanda riconvenzionale, dovendo evocare l’altro convenuto, quale terzo estraneo al rapporto originariamente dedotto in giudizio, con una corretta chiamata di terzo, per comunanza di causa o garanzia, non potendosi ritenere sufficiente la proposizione di una domanda riconvenzionale per il solo fatto che il soggetto nei confronti del quale la domanda è proposta è già parte del giudizio per effetto della domanda proposta dall’attore, perché, proprio in ragione della diversa causa petendi, verrebbero «compromessi definitivamente sia i diritti di difesa costituzionalmente riconosciuti alla parte, sia le facoltà processuali riservate al terzo».
Ancor più puntuale è il principio di diritto poi enunciato da Cass. 12/05/2021, n. 12662, Rv. 661320-01 (alla quale ha prestato esplicita adesione la sentenza qui gravata), così massimato: «nel processo civile conseguente alla novella di cui alla legge n. 353 del 1990, caratterizzato da un sistema di decadenze e preclusioni, un convenuto può proporre una domanda nei confronti di un altro, convenuto in giudizio dallo stesso attore, in caso di comunanza di causa o per essere da costui garantito, dovendo a tal fine avanzare l’istanza di differimento della prima udienza, ex art. 269 cod. proc. civ., con la comparsa di risposta tempestivamente depositata, procedendo quindi alla notifica della citazione nell’osservanza dei termini di rito».
L’illustrato contrasto nella giurisprudenza delle sezioni semplici rende non più differibile un pronunciamento della Corte nella sua più tipica espressione di organo della nomofilachia.
