L’articolo 635, quinto comma, del codice penale non detta un automatismo intrinsecamente irrazionale laddove impone al giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena irrogata per il reato di danneggiamento alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, o, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato.
È quanto si legge nella sentenza numero 207, depositata ieri (allegata al post), con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Firenze nei confronti del suddetto articolo 635, quinto comma, del codice penale.
La Corte ha ricordato che l’istituto della sospensione condizionale è funzionale a favorire la rieducazione del reo e ha osservato che la norma censurata «si connota per una forte vocazione rieducativa», dal momento che gli adempimenti da essa contemplati «si risolvono, l’uno, nella reintegrazione dello status quo ante, che permette al reo di acquisire maggiore consapevolezza delle conseguenze dannose derivate dalla sua condotta illecita; l’altro, nella prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività, con chiaro richiamo al vincolo di solidarietà che deve legare i consociati all’interno del vivere civile».
La disposizione censurata, quindi, «mira a rafforzare la funzione risocializzante che la sospensione condizionale esplica nell’ambito del sistema sanzionatorio», stimolando nel reo una «rivisitazione critica rispetto» al reato commesso, che «si risolve, nella generalità dei casi, in condotte di insensato vandalismo, in quanto caratterizzate da una mera motivazione distruttiva».
Del resto, ha precisato la sentenza, «in un ordinamento complesso come quello penale, al legislatore non può essere contestata la sola mancanza di una razionalità puramente geometrica».
In questa prospettiva la Corte ha escluso anche che l’articolo 635, quinto comma, del codice penale, nella parte in cui è applicabile al danneggiamento delle cose indicate nell’articolo 625, primo comma, numero 7), del codice penale, dia luogo a una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla fattispecie del furto pluriaggravato avente a oggetto gli stessi beni e commesso con violenza sulle cose, per il quale la subordinazione della sospensione condizionale non è obbligatoria.
Pur a fronte di elementi comuni, resta chiaramente distinta la condotta tipica, tale da escludere una piena omogeneità delle situazioni poste a raffronto.
La violenza sulle cose, infatti, «mentre nel furto si configura come un mezzo al fine di realizzare la condotta sottrattiva, al punto da restare assorbita in esso», nel danneggiamento rappresenta di norma il fine della condotta illecita «ed esprime una particolare indifferenza per i beni altrui».
Non sussiste, di conseguenza, tra i due reati una omogeneità strutturale tale da rendere manifestamente irragionevole la previsione, con riguardo al danneggiamento, «di un percorso rieducativo diverso da quello contemplato per il furto commesso con violenza sulle cose».
