Giudizio abbreviato e perizia psichiatrica (Redazione)

La Cassazione penale sezione 3 con la sentenza numero 40770/2025 ha ricordato che la richiesta di perizia psichiatrica per l’accertamento di eventuali vizi di mente, totali o parziali, non è in astratto inconciliabile con il rito abbreviato ma è onere delle parti allegare su tale aspetto elementi concreti e non manifestamente inconferenti ovvero questi emergano ictu oculi dagli atti.

Lla Suprema Corte premette che la richiesta di rito abbreviato non condizionato formulata dall’imputato, comporta l’accettazione del giudizio «allo stato degli atti» e rappresenta il limite oltre il quale il quadro probatorio già esistente non è suscettibile di modificazioni, ferme restando le possibilità di integrazione istruttoria dell’interrogatorio dell’imputato e del ricorso ai poteri d’ufficio del giudice ai sensi dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 45806 del 08/10/2008, Alagna e altri, Rv. 241766), in quanto la scelta dell’imputato di procedere con tale rito alternativo rende utilizzabili tutti gli atti, legalmente compiuti o formati, che siano stati acquisiti al fascicolo del pubblico ministero, che è valutazione totalmente discrezionale e non può costituire oggetto di ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 1763 del 04/10/2021, dep. 2022, Provenza, Rv. 282395 – 01).

E’ stato così in effetti rilevato che, in tema di reati sessuali in danno di minori di età, la valutazione giudiziale delle dichiarazioni accusatorie rese dalle vittime degli abusi, che richiede specifiche cognizioni tecniche mediante il ricorso al sapere scientifico esterno, non impone nella fase delle indagini preliminari alcun obbligo al pubblico ministero di affidare la cosiddetta consulenza personologica nelle forme dell’art. 360 cod. proc. pen. ovvero di richiedere al G.i.p. l’incidente probatorio, essendo ammissibile il ricorso alla procedura non garantita prevista dall’art. 359 cod. proc. pen., le cui risultanze hanno tuttavia valore solo endo-processuale, sottraendo agli indagati la facoltà di controllare, tramite i difensori ed i consulenti tecnici, l’operato del consulente.

In definitiva, quindi, vi è stata piena accettazione di tutti gli atti formati.

Tanto premesso, la doglianza relativa all’omessa perizia psichiatrica sulla imputata è infondata. Come correttamente sottolineato dalla parte civile nella sua memoria, già la sentenza di primo grado aveva evidenziato la mancata emersione di elementi utili – sulla base della documentazione prodotta – a mettere in dubbio la capacità di intendere e volere della stessa al momento dei fatti, risultando tale documentazione carente (non essendosi presentata ai concordati appuntamenti e riferendo lei stessa in occasione di un accesso al pronto soccorso, di avere ingerito farmaci ma, di contro, risultando al personale medico e ospedaliero vigile e collaborante).

La sentenza di appello, dal canto suo, oltre a motivare per relationem con la prima sentenza, ha ritenuto che il tentato suicidio mediante assunzione di psicofarmaci e la richiesta di visita psichiatrica non costituissero elementi idonei a porre in serio dubbio la capacità di intendere e volere al momento del fatto.

La doppia, conforme, valutazione di entrambi i giudici del merito non appare manifestamente illogica o contraddittoria, anche in considerazione del fatto che l’imputata abbia chiesto e ottenuto di essere giudicata con rito contratto.

A tal proposito, se da un lato è vero che la richiesta di perizia psichiatrica per l’accertamento di eventuali vizi di mente, totali o parziali, non è in astratto inconciliabile con il rito abbreviato, la cui ammissione presuppone che l’imputato abbia la piena capacità di intendere e di volere; per altro verso (così Sez. 3, n. 55301 del 22/09/2016, H., Rv. 268532 01), «spetta al giudice la valutazione delle risultanze processuali, ivi compresa la richiesta di giudizio abbreviato quale atto personale incompatibile con l’esistenza di vizi di mente, per apprezzare, con giudizio insindacabile in sede di legittimità, la meritevolezza della richiesta di perizia psichiatrica» (fattispecie di giudizio abbreviato per reati sessuali, nella quale la S.C. ha ritenuto non illogico il rigetto della richiesta di perizia formulata dalla difesa in sede di discussione, fondato dal giudice di merito sulla rilevata mancanza di relazione fra i comportamenti sessuali accertati e l’esistenza di patologie o disturbi incidenti sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato).

Si è anche affermato (Sez. 1, n. 8965 del 31/05/2016, dep. 2017, Abastante, Rv. 269417 – 01) che la definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato non esime il giudice dalla verifica della capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto; tuttavia, è onere delle parti allegare su tale aspetto elementi concreti e non manifestamente inconferenti ovvero questi emergano ictu oculi dagli atti (in applicazione del principio la Suprema Corte ha annullato la decisione impugnata, ritenendola non sufficientemente motivata riguardo alle ragioni per cui il giudice non aveva disposto perizia psichiatrica, disattendendo i dati emergenti dalla documentazione in atti, relativa ad un precedente procedimento penale, nel quale l’organo giudicante, recependo le conclusioni del perito, aveva ritenuto l’imputato incapace di intendere di volere).

Il motivo è pertanto infondato, in quanto meramente contestativo di una motivazione, resa in procedimento definito allo stato degli atti, non manifestamente illogica o contraddittoria, la quale ha ritenuto che non sussistessero elementi che ictu oculi indirizzassero nel senso della incapacità dell’imputata al momento del fatto

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